La commemorazione dei defunti, conosciuta come Giorno dei Morti, è una ricorrenza cattolica che si celebra ogni 2 novembre. Tuttavia, dietro questa tradizione religiosa sopravvivono credenze molto più antiche, riti e simboli di origine pagana che, nei secoli, si sono intrecciati con la liturgia cristiana, dando vita a un giorno sospeso tra fede e memoria ancestrale.
In Sicilia il rapporto con i defunti assume una forma unica: non si commemorano semplicemente, come avviene nel resto d’Italia, ma si festeggiano. Non a caso, la ricorrenza è conosciuta come la Festa dei Morti. Una tradizione che si muove tra memoria e leggenda, resa immortale anche dal racconto Il giorno che i morti persero la strada di casa di Andrea Camilleri, capace di restituire tutta la magia e il mistero di questa usanza.
La leggenda siciliana racconta che, nella notte tra l’1 e il 2 novembre, i defunti tornino a far visita ai loro cari. Non arrivano a mani vuote, portano doni ai bambini, che al risveglio si lanciano in una sorta di caccia al tesoro tra le stanze di casa, è così che trovano giocattoli e dolci legati alla tradizione.
Le ossa di morto, o scardellini, non sono semplici biscotti, il loro valore simbolico rimanda all’idea di assorbire le virtù degli antenati. I pupi di zucchero (pupaccena), statuette colorate che raffigurano paladini o figure umane, richiamano invece la presenza degli avi nella memoria familiare. Non mancano i nucatoli, fragranti biscotti a forma di S dal cuore ripieno, noti anche come biscotti dei morti; i tetù e teio, letteralmente “uno a te e uno a me”, morbidi e glassati di zucchero bianco o cacao; e, infine, la vera regina della festa, la frutta martorana, piccole opere d’arte di pasta di mandorle, modellate e dipinte con tale realismo da sembrare frutti e ortaggi appena colti.
Storia della Frutta Martorana
La frutta di Martorana deve il suo nome al monastero palermitano fondato nel 1194 dalla nobildonna Eloisa Martorana, la sua origine, però, è avvolta nella leggenda.
Si racconta che nel Basso Medioevo, in vista della visita dell’imperatore Carlo V nel 1535 (secondo altri dell’arcivescovo), le monache benedettine si trovarono in difficoltà: il chiostro, a fine ottobre, era spoglio, privo di fiori e frutti. Come accogliere degnamente un sovrano in un giardino così triste?
Fu allora che la cuoca del convento ebbe l’intuizione, modellò con la pasta di mandorle arance, mele e frutti di stagione, li colorò con maestria e li appese agli alberi del chiostro. Quando Carlo V vi entrò, rimase colpito da quella meraviglia, alberi carichi di frutti maturi, in pieno autunno. Staccò un’arancia e solo allora scoprì l’inganno, ma invece di offendersi, scoppiò a ridere e assaggiò quei dolcetti. «Sono degni di un re», commentò divertito il Gran Cancelliere, proponendo di chiamarli pasta reale.
Dopo la soppressione delle corporazioni religiose nel 1866, la produzione dolciaria delle monache cessò, ma la tradizione della frutta di Martorana sopravvisse grazie ai pasticceri di Palermo. E così, da oltre cinque secoli, questi piccoli capolavori continuano ad affascinare, frutti che sembrano veri, nati per ingannare la vista, ma che conquistano con il gusto. Ancora oggi, durante la Festa dei Morti del 2 novembre, colorano le vetrine siciliane con la loro inconfondibile magia.
Ricetta per la Frutta Martorana
1 kg di mandorle dolci
800 g di zucchero
600 ml di acqua
4 mandorle amare
Per preparare la frutta di Martorana si parte dalle mandorle: vanno scottate in acqua bollente, pelate e tritate finemente. In un tegame largo si scioglie lo zucchero con un po’ d’acqua, mescolando finché il composto non inizia a “filare”. A quel punto si spegne il fuoco e si aggiungono in un colpo solo le mandorle tritate, amalgamando rapidamente.
Il composto viene poi versato su una spianatoia per raffreddarsi. È da qui che inizia la parte più affascinante: con le mani, o con appositi stampini in gesso, si modellano i piccoli frutti, dando vita a pesche, arance, fichi e melograni in miniatura. Dopo qualche ora di asciugatura, arriva il tocco finale: la colorazione con pigmenti alimentari, che rende quei dolci incredibilmente realistici. Per un effetto ancora più luminoso, si può aggiungere una leggera lucidatura con gomma arabica.
Il risultato non è solo un dolce: è un’illusione che inganna l’occhio e conquista il palato, proprio come fecero le prime monache creatrici di questa tradizione secolare.