La notizia è dolorosa, per me e per chiunque ami il mondo delle parole. C’è chi, con le parole, costruisce discorsi e chi le usa come strumenti di lavoro. E poi c’era Stefano Benni, che con le parole giocava come un bambino fa con le biglie, le faceva rotolare, brillare, scontrare, trasformandole in mondi. Oggi, 9 settembre 2025, questo gioco si è fermato. Benni se n’è andato, a 78 anni, dopo una lunga malattia che gli aveva persino tolto l’uso della parola e da tempo lo aveva allontanato dal palcoscenico della vita pubblica.
Era, anzi è tra i miei scrittori preferiti, i suoi libri mi hanno fatto ridere, riflettere e commuovere. Leggere Benni significava immergersi in un mondo dove il fantastico e il reale si intrecciavano e scoprire che anche l’assurdo può insegnare qualcosa sulla vita.
Nato nel 1947, era diventato in breve una delle voci più originali e riconoscibili della narrativa italiana. Non semplice scrittore, ma creatore di universi, nei suoi libri, da Bar Sport a Saltatempo, da Margherita Dolcevita a Prendiluna, il lettore trovava un caleidoscopio di personaggi improbabili eppure verissimi, di ironia corrosiva e di tenerezza inattesa.
Benni non era un comico. La sua non era risata fine a se stessa, era un modo per guardare meglio la realtà. Dietro ogni ogni battuta surreale, si nascondeva una critica feroce al potere, al conformismo, alle ingiustizie e delle assurdità della vita quotidiana. Un po’ come accade con certi clown, ti fanno ridere, ma se guardi bene negli occhi ti accorgi che stanno raccontando una verità che altrimenti sarebbe difficile da accettare.
E in questo Stefano Benni era maestro, aveva l’abilità di accompagnarti nel fantastico e, proprio lì, infilarti in tasca un pensiero che ti restava addosso. Una specie di magia letteraria che pochi altri in Italia hanno saputo compiere con tale costanza.
Negli ultimi anni, la malattia lo aveva costretto al silenzio, privandolo perfino della parola, un destino crudele per chi con la voce e con le parole aveva costruito la propria vita. eppure, paradossalmente, questo silenzio non lo ha reso meno presente, i suoi libri hanno continuato a circolare, a parlare per lui. Oggi, la notizia della sua morte lascia un vuoto non solo nei suoi lettori, ma anche in quel panorama culturale italiano che fatica a produrre figure tanto indipendenti, inclassificabili, necessarie.
Resta un archivio di mondi in cui tornare , resta la dimostrazione che l’umorismo non è evasione, ma uno dei modi più seri per raccontare la vita, e resta, soprattutto, un insegnamento, che anche nell’assurdo si nasconde una verità. Perché, come sapeva bene lui, è nel gioco che a volte troviamo la spiegazione più profonda delle cose. Ci lascia l’eredità di chi sapeva trasformare il gioco in saggezza, la fantasia in verità, e la leggerezza in riflessione.
Addio, Lupo. Grazie per aver fatto parte della mia vita.
“Le cose muoiono: questa è la prima cosa che non puoi cancellare, una volta che l’hai davvero scoperta. Le cose guariscono, le cose ricominciano, le cose tornano. Questa è una cosa bella da tenere in testa, ma non la puoi avere sempre, la speranza fa il gioco del sole nel bosco, sparisce, riappare un attimo, poi di nuovo è ombra e oscuro.”
dal libro Saltatempo