Charlie Kirk era un provocatore, non c’è molto da girarci intorno, le sue erano parole dure, taglienti, spesso feroci, ma restavano parole, per quanto fastidiose o ingiuste. La violenza è un’altra cosa, la violenza, lo sappiamo, non convince nessuno, non cambia le idee, non apre spiragli di dialogo, logora la democrazia, la rende fragile.
Kirk era diventato un punto di riferimento della destra americana più radicale. Un predicatore di slogan, un raccoglitore di consensi, soprattutto tra i giovani bianchi. Girava per campus e piazze, raccoglieva soldi per Trump e trasformava il suo linguaggio in strumento di potere. Era un uomo di propaganda, non certo un uomo di pace.
La lunga storia della violenza politica negli Stati Uniti
Negli Stati Uniti la violenza politica non è affatto un’eccezione, un’invenzione degli ultimi tempi, è storia antica, presidenti uccisi, attentati, leader civili assassinati, una scia di sangue che va da Lincoln a Kennedy, da Malcolm X a Martin Luther King. È un Paese nato sulla violenza, colonialismo, schiavitù, guerra civile, rivalità Nord-Sud, un paese cresciuto tra fucili e confini e che continua a nutrirsene. L’omicidio di Kirk si inserisce dentro questa tradizione.
Si parla di un’America sull’orlo dello scontro epocale, se per scontro epocale si intende qualcosa di totalmente nuovo nella storia politica del paese, la risposta è no. Certo il clima è peggiorato, Trump ha radicalizzato gli animi, la questione palestinese, divide i campus, i diritti delle donne, la libertà di espressione, ogni tema diventa benzina. Affermare però che l’America non abbia mai conosciuto tali fratture è un’ingenuità storica.
La reazione italiana: tra ipocrisie e doppi standard
L’Italia, come sempre, ha reagito nel peggiore dei modi, tra esultanze da stadio, complotti inventati, indignazioni di facciata, un circo mediatico che trasforma tutto in polemica, mentre la serietà e la pietà restano fuori dalla porta. E invece dovrebbero essere la prima reazione, davanti a un corpo steso a terra. Non ipocrisia, pietà. Perché se oggi ci indigniamo per chi applaude alla morte di Kirk, ma ieri abbiamo taciuto davanti ai morti palestinesi, allora sì, abbiamo un problema di coscienza, siamo davanti a un doppio standard intollerabile.
E Tutto questo trasforma il dibattito in una rissa da bar e impedisce ogni analisi seria. È il solito coro che non aiuta a capire, dietro ogni narrazione c’è chi è pagato per alimentarla, chi trae visualizzazioni e consenso dal caos. I giornali di destra nostrani, in questa vicenda, hanno fatto il loro mestiere peggiore come strillare, travisare, amplificare.
L’empatia: dovere o eccesso morale?
E poi la domanda dolorosa, dobbiamo avere empatia per chi propugna tesi che consideriamo aberranti, per chi ha predicato odio, razzismo, discriminazioni? L’empatia non è una moneta da spendere in modo selettivo, non è un lasciapassare per chi vuole negare diritti fondamentali. Non ci può essere comprensione per chi considera la violenza sulle donne giustificabile, o per chi difende massacri in nome di una bandiera.
Perché dovrei compatire chi propone teorie secondo cui qualche decina di morti per sparatoria sarebbero il prezzo accettabile per difendere il secondo emendamento? Perché dovrei esprimere empatia verso chi paragona aborto a omicidio e vorrebbe imporre a tutte le donne regole di morale sacrale? Perché dovrei provare comprensione per chi sostiene, con freddezza, la politica più intransigente a favore di Israele, anche quando quella politica sfocia in massacri? Per un razzista, omofobo. Chiedere empatia per chi predica tutto questo è un’esagerazione morale inaccettabile.
La violenza è boomerang politico
Una cosa è certa, l’omicidio non rovescia il potere, lo rafforza. Fa di Kirk una martire, un’icona, regala a Trump e alla destra radicale uno strumento per giustificare repressione e limitazioni nelle università. Il terrorismo fanatico, di qualsiasi colore, non fa che regalare argomenti a chi sogna più armi, più controllo, meno diritti. È una sconfitta politica per chi lotta per diritti civili, laici e femministi. La destra moderna non pretende di allargare diritti, ma di toglierli a chi è diverso da loro.
Kirk non è stato ucciso da un antifascista, è stato annientato dal fanatismo, da una cultura della violenza che è semplicemente americana. Una cultura che Trump incarna e nutre. L’omicidio conferma una lezione che dovremmo tenere a mente, noi abbiamo il vantaggio di non avere la stessa diffusione di armi civili. Imitare gli USA a tutti i costi, politicamente, culturalmente, militarmente, significa rischiare di esportare anche le loro peggiori malattie.
E allora la lezione è semplice, ma difficile da accettare, la violenza non è mai la risposta. Non lo è negli Stati Uniti, non lo è in Italia, non lo è da nessuna parte. Chi pensa di cambiare il mondo con una pistola in mano condanna se stesso e gli altri a una sconfitta certa.
Se vogliamo restare umani, dobbiamo restare disarmati. Sempre.