Il Premio Strega Poesia 2025, giunto alla terza edizione del prestigioso premio dedicato alla poesia contemporanea, ha ufficialmente annunciato la cinquina finalista il 7 maggio 2025, in una cerimonia al MAXXI de L’Aquila, condotta da Fabio Emilio Torsello e Mara Sabia della Setta dei Poeti estinti, sono intervenuti Paola Macchi, segretaria generale della Fondazione Maxxi e Pierluigi Biondi, sindaco L’Aquila, Giuseppe La Boria, direttore regionale Marche Abruzzo Bper Banca.
Il Comitato scientifico, composto da Maria Grazia Calandrone, Andrea Cortellessa, Mario Desiati, Elisa Donzelli, Roberto Galaverni, Vivian Lamarque, Melania G. Mazzucco, Patricia Peterle, Stefano Petrocchi, Laura Pugno, Antonio Riccardi e Gian Mario Villalta, ha scelto i finalisti tra i 144 candidati.
Alfonso Guida con Diario di un autodidatta, Guanda.
Giancarlo Pontiggia con La materia del contendere, Garzanti.
Jonida Prifti con Sorelle di confine, Marco Saya.
Marilena Renda con Cinema Persefone, Arcipelago Itaca.
Tiziano Rossi con Il brusìo, Einaudi.
Una giuria composta da personalità della cultura determinerà l’opera vincitrice, il premio verrà assegnato il prossimo 8 ottobre, a Roma, presso il Tempio di Venere e Roma all’interno del Parco archeologico del Colosseo.
La cinquina finalista del Premio Strega poesia 2025
Alfonso Guida con Diario di un autodidatta, Guanda.
Motivazione:
Un io, la sua terra, le esperienze vissute sono i fili che tessono insieme la trama di una vita, che in questa poesia si espone e si mette a disposizione dell’ascolto dell’altro, attraverso una lingua di “pietra” fatta dell’aspro paesaggio della Lucania. Un’immersione nel sé («figura di troppi lati»), nella sua profonda solitudine, senza narcisismi e certezze, è il punto di confluenza ed esplosione tra vita e scrittura in Diario di un autodidatta. In queste pagine echeggiano voci di memorie familiari, di amori vissuti, di traumi accumulati negli anni, e anche di fantasmi: «Parlavo strambi linguaggi di vento». In un confronto che si fa duro e nudo: «La strada non c’era, ma ho cominciato / presto a camminare. Non c’era niente. / Solo un vuoto orrido da cui pendevo. / Questo sentirmi attinto da un coltello». Versi che possono evocare la voce di una Amelia Rosselli (“Non ho un mondo pronto per me e così parto per un mondo meno pronto per me”), ma anche quella di altri che sono chiamati ad accompagnare i passi inquieti del poeta. Un andare avanti, dettato da un ritmo interiore, da un disseppellire e dissipare, che diviene una complessa operazione in cui la parola materica si fa sonda («Sondare è scarcerare») di una condizione esistenziale; insomma, uno scandagliare e perforare obliquamente, perché è «da una tregua spaventata», «da una riva» che Alfonso Guida scrive, in una soglia in cui tutti possiamo affacciarci e riconoscerci.
(Il Comitato scientifico)
Giancarlo Pontiggia con La materia del contendere, Garzanti.
Motivazione:
La materia del contendere di Giancarlo Pontiggia, edito da Garzanti, è, senza esitazioni, un libro presocratico: che qui è un altro modo per dire sapienziale, della sapienza di un tempo presente e futuro in cui poesia e filosofia, strettamente unite in epoca antichissima e poi lungamente costrette a vagare separate per il mondo, finalmente possono riunirsi. Poesia pensiero, quindi, ma fatta di un dire essenziale e depurato, che cerca la natura degli elementi e insieme la natura della sua propria materia poetica: tanto che, nel parlare delle cose ultime, parla sempre anche del suo stesso farsi. Come la freccia di Zenone, questa scrittura riconcilia gli opposti elementi di movimento e stasi, in quell’operazione che compie sempre la poesia, quando è poesia.
(Il Comitato scientifico)
Jonida Prifti con Sorelle di confine, Marco Saya.
Motivazione:
Non è questo il primo libro di carta di un’autrice che deve la sua notorietà – underground e sottotraccia, ci mancherebbe, ma abbastanza diffusa ormai – piuttosto al versante performativo: fra musica, spoken word, poesia sonora e declamazione più tradizionalmente “lirica”. Eppure Sorelle di confine si legge alla stregua di un esordio, nello sforzo di definire il più possibile una “posizione” destinata però a restare, e per fortuna, scissa e polimorfa: proprio come la biografia di chi esordisca alla scrittura in una terra e in una lingua diverse da quelle in cui è cresciuta (l’«atavismo riconquistato» – per dirla con Celan – dell’albanese si produce, così, solo a chiazze e con funzione, di nuovo, più “musicale” che narrativo-esperienziale). Decisivo è l’aggettivo che intitola il poemetto-guida Le portatrici carniche (dedicato a una vicenda toccante della memoria “di confine” di più d’un secolo fa). Al di là del toponimo, è nell’incarnazione del verbo e del mèlos che si definisce la promessa – ormai certa – d’una scrittura sfrontata e ribelle, laceratamente epica come non può non essere l’epos nel nostro tempo.
(Il Comitato scientifico)
Marilena Renda con Cinema Persefone, Arcipelago Itaca.
per confondere quelli che
pensano
che Persefone sia morta
scintilla, l’occhio fa federe
gli organi possono essere
implacabili
che importa la loro vita
lei ha dimestichezza con molte
forme
di intollerabilità,
ma il sangue
è la più veloce
Motivazione:
Cinema Persefone parla a un lettore contemporaneo già avvezzo alle riletture del mito, non soltanto in prosa. Con gli dei e gli eroi della classicità si sono già cimentati poeti del calibro di Anne Carson e Kae Tempest, producendo narrazioni in versi dense ed eloquenti. Questo libro compatto ed enigmatico si confronta invece con il periodico inabissarsi e riemergere dall’oscurità di Persefone sprofondando nel non detto anche il plot (“il mistero non si può dire”), per poi lasciar affiorare micro-eventi carichi di luce. È un cinema, quello allestito da Marilena Renda, in cui il buio è rotto a sprazzi da frammenti suggestivi. Persefone è una ragazza che di notte sogna “di dirne quattro alla madre”. Ade, bello come un divo dei giorni nostri, “porta la fanciulla a casa sua malvolentieri”. Lei gli piace molto, anche se lui ha “le foto dell’altra ancora nella galleria del cellulare”. E la vicenda è davvero tutta qui: è l’eterno accendersi, spegnersi e riaccendersi del desiderio (“Ade è vivo da sempre / desidera sempre”). Scrive Renda che “ogni cosa bella viene dall’oscurità”, anche l’amore che si fa al buio è più potente di ogni altra cosa. È la legge del sottrarsi per non appassire/ammansire, l’arte di far coincidere l’inizio con la fine. Questo ci dice una voce sapienziale vecchia come il mondo eppure straordinariamente sensuale: “se non vai all’inferno l’estate non germoglia”
(Il Comitato scientifico)
Tiziano Rossi con Il brusìo, Einaudi.
Motivazione:
Nell’ultimo quarto di secolo la scrittura di Tiziano Rossi ha alternato nuove scosse a lunghi assestamenti. All’onorevole carriera poetica riassunta da un collected del 2003 ha fatto seguito una sorprendente “svolta” in prosa, con cinque piccoli libri da ascrivere tra i più fragranti nell’écriture senza partizioni del nuovo secolo. Raccolta anche quell’esperienza nell’antologia Gli sfaccendati, è di nuovo tempo di versi. Nel frattempo però il decano della nostra poesia ha doppiato il capo dei Novanta, e così il nuovo capitolo si dice «atto penultimo», non ignaro dell’esperienza residuale dell’«io minimo» sperimentato in prosa. Negli anni Ottanta diceva un suo quasi coetaneo, Christopher Lasch, che in «epoca di turbamenti la vita quotidiana diventa un esercizio di sopravvivenza», e «l’io si contrae». Quello del lungodegente autoritratto in una «corsia» beckettiana è ridotto a un «perpetuarsi» da «insetti», o altre vite infinitesime capaci solo d’un «parlottìo» o d’un «ronzìo», quale è questa sua terminale «pioggerellina» poetica. Nell’approntarsi sgocciolanti al «nuovo trasloco», si comprende infine la natura di quanto interminabilmente lo ha preceduto: «Ora il finto spettacolo è finito / la digressione»
(Il Comitato scientifico)
Premio Strega Poesia 2025: i dodici finalisti
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