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SEI QUI: Home » Libro Caffè » Genere Libri » Giallo - Thriller - noir » Andrea Vitali – Il sistema Vivacchia. I casi del maresciallo Ernesto Maccadò
Giallo - Thriller - noir

Andrea Vitali – Il sistema Vivacchia. I casi del maresciallo Ernesto Maccadò

30 Ottobre 2024Updated:30 Novembre 2024Nessun commento10 Mins Read
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Andrea Vitali – Il sistema Vivacchia
Andrea Vitali – Il sistema Vivacchia. I casi del maresciallo Ernesto Maccadò
Andrea Vitali – Il sistema Vivacchia. I casi del maresciallo Ernesto Maccadò

Il sistema Vivacchia. I casi del maresciallo Ernesto Maccadò è un romanzo di Andrea Vitali, pubblicato il 29 ottobre 2024, da Garzanti. Un cognato nei guai, una lotta di potere, la fuga verso una nuova vita… e l’arrivo della prima radio.

Trama del libro Il sistema Vivacchia

Caio Scafandro, a Bellano, non si dà pace. Come può uno come Aurelio Trovatore, segretario del Partito, non contare niente, non fare una piega, e passare il tempo come se tutto andasse a gonfie vele? “Uno come lui – pensa Caio – è buono solo a scaldare la sedia, un uomo di paglia, senza spina dorsale”. Certo, lui al suo posto farebbe faville. Lo pensava da sempre, da quando avevano rimosso Tartina, il precedente segretario. In cuor suo, Caio si era già visto con quella carica in tasca, meritata come il pane quotidiano. Ma il Federale aveva preferito pescare Trovatore, quell’ombra di uomo. Ora però le cose stanno cambiando. Il cognato di Aurelio, il Graziato, è nei guai fino al collo, accusato di un furto di carbone con tanto di denuncia datata 11 ottobre 1928. Il colpo grosso arriva quando Caio realizza che, se il Graziato viene condannato, a farne le spese sarà anche il Partito, e Aurelio, con la sua indolenza, non muove un dito. È l’occasione giusta: “Se non lo fa lui, lo faccio io”, pensa Caio, spedendo un telegramma alla federazione di Como per chiedere un avvocato di grido, qualcuno che possa salvare l’onore del Partito e togliere il Graziato dai pasticci.

Nel frattempo, i carabinieri stanno a guardare, con un sorrisetto sotto i baffi, il teatrino che si sviluppa davanti ai loro occhi. A Bellano, infatti, non è mai tutto come sembra: c’è sempre un imprevisto, un colpo di scena che scombina le carte. Stavolta l’inatteso si chiama “sistema Vivacchia”, un modo di fare che mescola pigrizia e opportunismo. E così, all’udienza, di avvocati ne arrivano addirittura due, contro ogni previsione.

Il maresciallo Ernesto Maccadò, che conosce fin troppo bene le storture del regime, non può che prendersi qualche piccola rivincita. Tra l’altro, c’è pure un problema che lo tormenta: la radio. Sua moglie Maristella la vuole a tutti i costi, soprattutto perché l’appuntato Misfatti ne ha appena comprata una e la casa si è riempita di musica e allegria. Maccadò, però, resta cauto: «Vedremo», borbotta, mentre osserva le cose evolversi, sperando che, almeno stavolta, il vento soffi dalla parte giusta, lontano dalle prepotenze e dall’arroganza del potere.

Chi è il maresciallo Ernesto Maccadò?

Ernesto Maccadò non è il classico maresciallo che ci si aspetta di trovare in un giallo all’italiana: non ha la faccia da duro né l’aria da eroe solitario. È un personaggio che esce dalla penna di Andrea Vitali e ci presenta un’idea di polizia che sa di quotidianità, di piccoli drammi e di umanità. Maccadò è un uomo radicato nel suo territorio, Bellano, un paesino che conosce come le sue tasche. E non si limita a fare il suo lavoro; è un punto di riferimento, un confidente, qualcuno che si fa carico delle ansie e delle tensioni di una comunità.

continua a leggere ...
Maccadò si trasferisce dalla Calabria al pittoresco lago di Como, si ritrova, insieme alla moglie Maristella, in un contesto che è tanto affascinante quanto insidioso. Prima di addentrarsi in investigazioni e casi da risolvere, Vitali si sofferma sulle incertezze e le sfide che questa giovane coppia deve affrontare nell’adattarsi alla vita di Bellano. Non è solo la città natale dell’autore, ma un vero e proprio rifugio dell’anima, un palcoscenico che si presta a racconti intrecciati di vita vissuta. Qui, il maresciallo, armato della sua curiosità e della sua determinazione, si confronta con una serie di eventi che, sebbene non propriamente “gialli”, rivelano il volto di un paese che sotto la superficie pacifica cela inquietudini e misteri. Bellano, insomma, è un microcosmo dove il quieto vivere è solo un’apparenza, e Maccadò è pronto a scoprire che le cose, talvolta, non sono mai come sembrano.

Non è solo un maresciallo: è un mediatore, un ascoltatore esperto che sa captare le sfumature delle vite altrui. Ogni pettegolezzo, ogni lamentela, ogni confessione diventa per lui un’occasione di introspezione. In un’epoca in cui il sensazionalismo regna sovrano, Maccadò riesce a scavare nel profondo con gesti minimi e osservazioni che, sebbene siano spesso trascurate, rivelano una verità ben più complessa di qualsiasi colpo di scena da copione.

La sua calma è disarmante. Anche di fronte a situazioni paradossali, ai personaggi più eccentrici e agli intrighi che sembrano usciti da una commedia all’italiana, Maccadò mantiene un aplomb che ricorda il miglior teatro del mondo. Non si prende mai troppo sul serio, ma affronta le situazioni con una lucidità che pochi possono vantare. La sua ironia, sottile e spesso velata, non è mai gratuita: è un’arma di comprensione, un modo per far fronte a un contesto che si potrebbe facilmente trasformare in un circo.

Il mondo di Vitali è un mosaico di esistenze diverse: ci sono piccoli truffatori che si improvvisano geni del male, vedove intrappolate nel dolore, preti curiosi e ragazzini che non possono fare a meno di ficcare il naso in affari altrui. In questo caleidoscopio di umanità, Maccadò emerge come un catalizzatore di conflitti, in grado di smussare gli angoli e riportare equilibrio, mentre smaschera, con tatto, le piccole ipocrisie che si annidano tra le mura di Bellano.

Vitali, attraverso Maccadò, ci costringe a guardare la provincia italiana con uno sguardo critico ma affettuoso. È un’Italia che, sebbene sembri svanita, continua a resistere nel cuore dei lettori: un’Italia di valori, di tensioni sociali che a volte esplodono in maniera sconcertante, ma che, nel complesso, è intrisa di una profonda umanità imperfetta. La figura di Maccadò diventa così simbolo di una narrazione che, pur nell’assurdità della vita quotidiana, trova sempre il modo di rimanere saldamente ancorata a una realtà che non può essere ignorata.

Il rapporto di Maccadò con il fascismo si delinea in modo sottile, ma al contempo dirompente. Attraverso questo personaggio, Vitali riesce a scavare nelle dinamiche di un’Italia intrisa di paura e repressione, mettendo in risalto l’importanza dell’integrità personale e della giustizia, anche nei momenti più bui. Maccadò emerge come un’alternativa all’ideologia fascista, incarnando valori di solidarietà, umanità e resistenza silenziosa, che continuano a risuonare nel presente.

Le avventure di Maccadò sono un palcoscenico in cui Vitali usa l’ironia per infondere una critica sociale al fascismo. Le situazioni tragicomiche in cui si trova il maresciallo rivelano l’assurdità di un regime che, tra piccole meschinità e una logica distorta, si riflette nel suo quotidiano. Così, Maccadò diventa un simbolo di speranza e umanità, in netto contrasto con l’ideologia rigida e opprimente del fascismo.

Maccadò è un personaggio di grande integrità e senso del dovere. Sebbene operi sotto il regime fascista, non è né un fanatico né un complice. È un uomo profondamente legato alla sua comunità, e questo legame lo spinge a proteggere gli abitanti di Bellano, anche a costo di sfidare le autorità. Una scelta che parla più forte di mille proclami, evidenziando come il coraggio e la dignità possano emergere anche nei momenti più bui.

Incipit del libro Il sistema Vivacchia

PROLOGO

L’insegna era quasi illeggibile e non solo per la luce crepuscolare, la nebbiolina che s’era levata dal naviglio. Scolorita piuttosto, scrostata in più punti. Anche ridicola volendo, Tipografia Vivacchia. Il tutto non ispirava una gran fiducia, anzi. L’indirizzo peraltro era quello, via Cicco Simonetta 14, impossibile sbagliare.
Il ventottenne milanese Mimmo Valanga si infilò una mano nella tasca della giacca, ne estrasse un santino, lo guardò con una smorfia di dubbio poi lo rimise dentro.
«Mah!» soffiò.
Quindi si mosse, si avvicinò alla porta, metallica, che dava accesso al locale, l’aprì giusto un palmo, sbirciò dentro senza vedere quasi niente, spinse con maggior decisione e fece un passo all’interno. La porta alle sue spalle si chiuse sbattendo con un rumore che provocò una sorta di eco. Quando si esaurì, il silenzio prese il sopravvento.
Il Valanga era ancora fermo due passi oltre la porta. Attese che qualcuno si facesse vivo guardandosi un po’ in giro, ma c’era ben poco da vedere. Un bancone di legno quasi appoggiato alla parete di fondo al centro della quale c’era una porticina che con evidenza immetteva a un altro locale. Probabile, rifletté il Valanga, che i macchinari della tipografia fossero di là, perché lì dove si trovava non ce n’era traccia. Bidoni, scatole, cartacce piuttosto occupavano un angolo della parete di sinistra. Su quella di destra, malamente appesi, alcuni manifesti datati che annunciavano fiere, mercati, lo spettacolo di un circo, circo Petecchia. L’impressione era più che desolante e il silenzio che perdurava non faceva altro che peggiorarla.
«C’è nessuno?» si decise a chiedere infine il giovanotto.
…uno… uno…
Forse si era illuso o forse davvero quel locale gli aveva rimandato l’eco.
«Boh», disse fra sé, sempre più in dubbio, pronto a considerare l’ipotesi di essere vittima di uno scherzo.
E però, ragionò, se anche i preti si mettevano a prendere per il culo la gente finita in disgrazia…
Fu a quel pensiero che la porta dietro il bancone gemette aprendosi.
Qualcuno c’era.
«Chi siete?» gli giunse una voce.
Femminile, roca. Veniva da una fessura della porta sulla parete di fondo, aperta quel giusto per dare un’occhiata. Il fascio di luce che proveniva dal locale oltre la porta si interrompeva un po’ sotto la metà, là dove il giovanotto riusciva a intravedere una testa di capelli ricci e scomposti piantata su un corpo che non superava il metro e cinquanta di altezza.
«Mi chiamo Mimmo Valanga», rispose.
Non ci fu eco né, per qualche istante, reazione alcuna da parte della donna.
«Stiamo chiudendo», lo informò lei.
Se doveva ordinare manifesti, annunci, biglietti da visita, carta intestata poteva passare l’indomani.
«No», ribatté il Valanga.
«No cosa?» reagì la donna.
Il buio che ormai stava prendendo possesso del locale privo di illuminazione parve stendere una nota d’oltretomba sulla sua voce. Il Valanga era ormai convinto di essere stato vittima di uno scherzo, vigliacco e crudele. Va bene, disse fra sé, fosse stato così l’avrebbe fatta pagare a quella specie di amico che gli aveva suggerito, come fosse un segreto di stato, di recarsi presso la basilica di Sant’Eustorgio e chiedere di essere confessato da certo don Giusto.
Don Giusto, mi raccomando, lui e lui solo!
«Vorrei parlare col titolare!» sbottò con decisione.
Una specie di verso, qualcosa di simile al gracchiare di una rana, uscì dalla bocca della donna.
«Il titolare sono io», chiarì subito dopo.
Era lei la Vivacchia dell’insegna. Vivacchia Stipula, per essere precisi, figlia di Vivacchia Emulo, buon’anima, che aveva fondato la tipografia nel 1878, passata poi a lei e all’apprendista tipografo Berebelli Misto divenuto nel 1908 suo marito.

Se vuoi ACQUISTA il libro

Andrea Vitali Giallo - Thriller - Noir Segnalazione
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Faccio i conti con la mia insaziabile voglia di conoscenza, mi piace condividere con gli altri le cose che imparo e confrontarmi, questo blog tenta di raccogliere i pezzi confusi di me.

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