
La portalettere è il romanzo d’esordio di Francesca Giannone, pubblicato da Nord nel 2023, diventato in breve tempo un caso editoriale. Ambientato tra gli anni Trenta e Cinquanta in un piccolo paese del Salento, Lizzanello, il libro racconta la storia di Anna Allavena, una giovane donna ligure che, per amore, abbandona la sua terra e il suo lavoro di insegnante per trasferirsi nel profondo Sud, terra del marito.
“Siamo seri. Non esistono portalettere donna”.
“Finora” disse Anna.
La portalettere è esistita davvero.
Si chiamava Anna Allavena ed è stata la prima postina del Salento. Una pioniera con la bicicletta e il passo fermo, in un tempo in cui le donne non consegnavano la posta, né tantomeno decidevano il proprio destino. Lo ha raccontato la stessa autrice in una intervista.
Durante la lunga immobilità della quarantena, in quei giorni sospesi che hanno costretto molti a rimettere mano al passato, Francesca Giannone ha riaperto vecchi cassetti insieme alla madre, e lì, tra carte ingiallite e oggetti che avevano smesso di parlare da tempo, ha trovato un biglietto da visita con il nome della sua bisnonna, il titolo di portalettere. Il resto è venuto da sé: fotografie, documenti, frammenti sparsi che profumavano di tempo vissuto. È stato allora che l’autrice ha sentito nascere l’urgenza di raccontare. Raccontare Lizzanello com’era e le donne.
Trama del libro “La portalettere”
Salento, giugno 1934.
Una corriera solleva polvere nella piazza di Lizzanello, poche case, poche anime. Ne scendono in due. Carlo, il figlio che torna, occhi scuri e passi sicuri, riconosce odori, voci, silenzi. Anna, sua moglie, resta un passo indietro. È bella come un’idea antica, ma ha lo sguardo altrove. Il Sud le pesa addosso ancor prima di conoscerlo.
In paese la chiamano subito “la forestiera”. A voce bassa, ma anche no. È del Nord, non va in chiesa, parla troppo, parla chiaro. Non è cattiva, dicono le donne. È solo diversa. E in certi luoghi la diversità è un peccato che non si perdona. Non si piega, Anna. Non ai codici non scritti, non ai sussurri dietro le persiane, non al destino che il paese riserva alle sue donne.
Anna non si piega. Cammina dritta, anche quando il vento le viene contro. È ruvida, fiera, a volte dura. Ma ama Carlo, con un amore che si lascia capire meglio da chi non dovrebbe. Antonio, il fratello maggiore, l’ha capita fin dal primo sguardo. E da allora porta dentro una verità che non può confessare a nessuno, nemmeno a se stesso.
“«Dalle mie parti è piuttosto normale, dato che sono cresciuta al confine con la Francia», lo interruppe Anna, voltandosi per un momento. Guardò Antonio coi suoi grandi occhi del colore delle foglie di ulivo, messi in risalto dal nero dei capelli, che teneva acconciati in una treccia morbida. La pelle diafana e sottile, di una creatura che non apparteneva a quei luoghi, le s’imporporò sulle gote. Antonio non sapeva dire se fosse per via del caldo, o se fosse stato lui, a farla arrossire ancora.”
Poi viene il 1935. Anna fa una cosa che non si è mai vista: partecipa a un concorso delle Poste. Lo vince. E diventa la prima portalettere di Lizzanello. La voce corre, si alzano sopracciglia, si storcono nasi. Le donne scuotono la testa, gli uomini ridacchiano. «Non durerà», dicono.
Ma dura. Più di vent’anni.
Anna cammina, poi pedala. Porta notizie, speranze, dolori. Le lettere dal fronte, le cartoline dal Belgio, le parole degli amanti. A volte sa tutto. A volte preferisce non sapere. Ma è lì, ogni giorno, tra le strade e le soglie, un’ombra gentile che unisce il paese più delle sue stesse radici.
Senza volerlo, senza chiederlo, cambia Lizzanello. Un po’ alla volta.
Questa è la sua storia. Ma anche quella di una famiglia, i Greco, e di un paese che attraversa la guerra, i silenzi, il tempo che cambia. E dei due fratelli, Carlo e Antonio, legati da un sangue solo e da un amore diviso.
“Lui e la sua passione per gli scrittori russi… Una volta Anna gliel’aveva pure chiesto, perché gli piacessero così tanto. E Antonio aveva risposto che, secondo lui, erano i più bravi non solo a raccontare le miserie umane, ma anche ad averne compassione. «Ti fanno sentire che non sei sbagliato, sei solo umano», aveva aggiunto.”
Recensione
E’ uno dei romanzi più ricercati e acclamati nel web e in libreria. Uscito nel 2023, dopo pochi mesi contava già varie ristampe, anche vincitore del Premio Bancarella 2023. Uno di quei libri che “lo stanno leggendo tutti”, e ammettiamolo un po’ ti incuriosisce, un po’ ti infastidisce, perché quando un romanzo diventa virale, metà del mondo lo ama, e l’altra metà lo snobba per partito preso. Io, più banalmente, mi ci sono ritrovata in mezzo grazie a mia zia, che me l’ha prestato con la faccia di chi ti affida un testimone e non un libro. Così con entusiasmo mi sono buttata tra queste pagine, ma anche con la stessa cautela con cui si apre un cassetto dei ricordi, aspettandosi polvere.
È una storia di donne, di famiglia, di ribellione elegante, di amore senza zucchero. Una storia che ho letto con grande partecipazione, avvertendo un coinvolgimento straordinario. Il romanzo ha la struttura perfetta da fiction, l’autrice riesce a intrecciare con abilità la dimensione privata con quella storica. Il fascismo, la guerra, il dopoguerra, la ricostruzione sono presenti, ma non invadenti, stanno lì, come certi dolori antichi che fanno da sottofondo alla vita e non te la rovinano, ma nemmeno ti lasciano in pace.
Lo stile è pulito, scorrevole, empatico e rispettoso, anche i dialoghi sono credibili, non è mai retorico, nemmeno quando tocca temi come la maternità, il lutto, la solitudine. E dire che scivolare nel patetico, con questi temi, è un attimo. Giannone, invece, evita tutte le trappole del cliché, e ci regala un Sud vero, orgoglioso, contraddittorio, impastato di silenzi e pregiudizi.
E poi c’è lei, Anna. Non una che si fa amare subito, infatti all’inizio ho provato molta antipatia per questa donna, perché non è accomodante, non è simpatica, non è addomesticata. Ma è vera, sbaglia, si pente, combatte. Non ha bisogno di essere salvata, ha bisogno di essere capita e se non la capisci, pazienza, lei va avanti lo stesso. La figura di Anna è ben costruita, mai caricaturale, non è perfetta, è donna prima che personaggio, non sfida i ruoli con rabbia, ma con coerenza. Lavora, osserva, sceglie. In lei non c’è il gesto eclatante, ma una giustizia interiore che si fa pratica quotidiana.
Attorno c’è il paese, che non è un semplice sfondo, ma organismo vivo, mormora, giudica, osserva. Le sue voci si rincorrono tra sagrati e cucine, tra messe e bar. Un mondo che resiste, si oppone, poi cede, lentamente, davanti alla forza silenziosa del cambiamento. Le donne, soprattutto, aprono varchi e il paese, a modo suo, impara a vederle.
Un intero universo di personaggi che sembrano usciti dalla memoria collettiva del paese Italia ci accompagna nella lettura. Le figure maschili che emergono con più forza sono quelle di Carlo, marito di Anna, e di Antonio, suo fratello. Due uomini legati da un vincolo antico, uniti da un affetto solido, non esibito, e da un attaccamento profondo alla terra che li ha cresciuti. Fratelli nel senso pieno del termine: indivisibili, più che inseparabili.
Ma soprattutto le donne. Agata, religiosa e rigida, ma capace di rispetto. Lorenza, affezionata e fragile, che cerca nell’amore qualcosa che non sa darsi da sola. E poi Giovanna, la “pazza”, che in realtà è solo una donna con un passato che fa troppo rumore per lasciarla vivere in pace, travolta da amore che è tutto fuorché amore. Violata, emarginata, salvata da uno sguardo che ha saputo vederla per quella che è e forse anche un po’ per quella che era e che avrebbe potuto essere. Anche le voci secondarie, mai solo comparse, aggiungono spessore alla narrazione, come frammenti che completano un mosaico.
La portalettere è un romanzo sobrio e intenso, costruito con cura, che, pur affondando le radici nel passato, parla con chiarezza al presente. Non è solo una vicenda individuale, è un tributo silenzioso alla dignità femminile, alla forza delle donne comuni, quelle che non fanno rumore ma cambiano il corso delle cose. Una lettera, in qualche modo, consegnata personalmente al lettore perché ricordi, comprenda, e magari raccolga il testimone.
Chi ama le storie ambientate nell’Italia del Novecento, con protagoniste determinate e umane, troverà qui una lettura capace di lasciare traccia. Una narrazione che tiene insieme memoria storica senza retorica, con rispetto.
“Anna si diresse al Bar Castello ed entrò. «Il solito?» le chiese Nando con un sorriso.Lei annuì, sbirciando due vecchietti seduti a un tavolino. Stavano giocando a briscola, ma s’interruppero e la fissarono, bisbigliando e dandosi di gomito.«Ecco il tuo caffè corretto grappa», disse Nando.Anna prese la tazzina e bevve d’un sorso, puntando gli occhi su quei due, che non le avevano staccato gli occhi di dosso, ma adesso non parlavano più e avevano la bocca aperta. Fece schioccare le labbra, assaporando il retrogusto alcolico rimasto sulla lingua. «Grazie, Nando», disse. E lasciò le monete sul bancone. Quanto la divertiva sapere che, alla sua uscita di scena, sarebbero seguiti i consueti commenti. Le sembrava di sentirli, quei due, che malignavano su una femmina che si faceva un goccetto a quell’ora del mattino. «Roba dell’altro mondo», avevano detto una volta.”
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Le opere letterarie citate nel libro “La portalettere”
Anna e Antonio condividono un amore silenzioso, ma tenace: quello per i libri.
Questa passione contagia chi le sta intorno e in un paese dove leggere è un lusso e un atto di resistenza, Anna fa dei libri un modo per restare liberi. Nel romanzo, alcune opere vengono nominate, sfogliate, amate, condivido alcune delle letture che accompagnano i personaggi.
“«Cosa ti piace leggere?» Anna si tirò indietro e si appoggiò sui gomiti. «Jane Austen, le sorelle Brontë…» «Ti piacciono le donne, insomma.» «Non solo. Ho letto tutto di Flaubert, Tolstoj… E poi, scusa, perché lo dici così?» «Così come?» «Con quell’aria accondiscendente. Come se i romanzi scritti da donne fossero romanzi da meno.» «No, no, mi hai frainteso. Non volevo sminuirle, credimi. Ho letto Orgoglio e pregiudizio, per esempio.» «E ti è piaciuto?» Antonio alzò le spalle. «Preferisco altri scrittori, tutto …”
Madame Bovary di Gustave Flaubert
Jane Eyre di Charlotte Brontë
Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen
“All’indomani del suo arrivo, Anna non aveva disfatto le valigie; aveva invece aperto subito lo scatolone per estrarne i suoi tesori: i semi neri del basilico ligure chiusi in un sacchetto di rafia; il mortaio in marmo bianco striato da venature grigie che era stato della bisnonna e poi di tutte le donne della sua famiglia; lo scrigno intarsiato in legno di ciliegio in cui erano custodite le prime calzette di Claudia di lana rosa e quelle di Roberto di lana blu; la collana di perle della madre, che lei aveva ricevuto in dono per i suoi ventun anni; le federe di seta lilla che la nonna aveva cucito di proprio pugno perché, diceva sempre: «La seta mantiene la pelle del viso giovane e liscia»; e i libri che aveva deciso di portare con sé: alcuni in francese, come Madame Bovary e L’Éducation sentimentale, ma anche Anna Karenina, Jane Eyre, Cime tempestose e Orgoglio e pregiudizio.”
L’educazione sentimentale di Gustave Flaubert
“Una mattina di fine ottobre, Giovanna uscì dal portone di legno della biblioteca comunale tenendo sotto il braccio una copia dell’Educazione sentimentale di Flaubert. Pensò a quante storie si era persa, in tutti quegli anni, convinta di non essere capace a leggere.”
Anna Karenina di Lev Tolstoj
“Era la prima volta che Anna la sentiva dire una cosa simile e ciò la preoccupò non poco. Dopo qualche istante di silenzio, disse: «Come Anna Karenina e il conte Vronskij?”
“«Io adesso devo andare», disse poi. «Ma ricordati una cosa: Anna Karenina la sua scelta l’ha pagata molto cara. Pensaci.» E si allontanò.”
Cime tempestose di Emily Brontë
“La mattina dopo, sul presto, Anna batté il picchiotto della porta di casa di Agata e Antonio. Aveva Roberto in braccio e, nella mano libera, stringeva una copia di Cime tempestose.”
“Una mattina, mentre Anna continuava con la lettura ad alta voce di Cime tempestose, Agata la interruppe. «Cosa successe a Claudia?» le domandò.”
Memorie dal sottosuolo di Fëdor Dostoevskij
“«Di cosa parla?» gli chiese Anna a bruciapelo. Antonio fece una faccia smarrita. «Chi?» «Il libro che stai leggendo», disse lei con aria divertita. «Ah, il libro!» esclamò lui, arrossendo. «Be’», continuò, tenendo dentro il pollice a mo’ di segnalibro, «racconta di un uomo che si macchia del peccato di accidia e che preferisce rifugiarsi nel sottosuolo, pur invidiando tutti coloro che invece sono capaci di agire. Infatti s’intitola Memorie dal sottosuolo.»”
I miserabili di Victor Hugo
Le anime morte di Nikolaj Gogol’
“Il bibliotecario era un uomo gentile, dai capelli radi e dallo sguardo mite. Anna lo ringraziò e si diresse verso l’uscita, stringendosi al petto il grosso volume dei Miserabili di Victor Hugo e quello più sottile delle Anime morte di Nikolaj Gogol’. Il primo l’aveva preso per sé, anche se era un vero peccato che non ce l’avessero in francese, pensò con un sospiro. Il secondo era ovviamente stato un consiglio di Antonio.”
Padri e figli di Ivan Turgenev
“Anna si sedette in punta alla sedia e, quasi con timore, cominciò ad accarezzare gli oggetti presenti sulla scrivania: una penna stilografica placcata in oro e un romanzo che lei non aveva mai sentito nominare: Padri e figli di Ivan Sergeevič Turgenev, lesse sulla copertina. Un altro russo, pensò, con tenerezza.”
Canto di Natale di Charles Dickens
“Lorenza si era portata appresso il Canto di Natale di Charles Dickens; si rannicchiò sul divano e prese a leggere ad alta voce, mentre Roberto stava ad ascoltarla con la testa poggiata sulla sua spalla.”
Le affinità elettive di J.W.Goethe
“Prima di tornare a casa, Anna fece una sosta in biblioteca per scegliere il romanzo da portarsi in vacanza. Dopo aver girovagato a lungo tra gli scaffali, dando scorse rapide alle quarte di copertina, fu incuriosita dalle Affinità elettive di Goethe e dalla questione cruciale che poneva: cosa succede a una coppia di elementi se ne entra in gioco un terzo?”
“Anna amava svegliarsi prima di tutti, quando il cielo cominciava appena a rischiararsi e la casa era ancora sgombra di voci e risate. Scaldava il latte per meno di un minuto e poi si portava la tazza in veranda; lì si metteva sulla sdraio e s’immergeva nella lettura delle Affinità elettive.”
Non si sa come di Luigi Pirandello
“Anna accelerò il passo e sgattaiolò dentro il portone aperto della biblioteca. Chiese all’uomo gentile al di là del bancone se per caso ci fosse una copia di Non si sa come. Quello fece un’espressione esitante e le domandò chi era l’autore. «Luigi Pirandello», rispose lei.”
“Non vedeva l’ora di tornare a casa, di mettere la testa sotto il getto dell’acqua fredda e di dedicarsi un po’ alla lettura. Poco prima, al bar, Antonio le aveva prestato la sua copia di un romanzo che s’intitolava Tempo di uccidere, scritto da un certo Ennio Flaiano, un autore che Anna non aveva mai sentito nominare. Aveva vinto da poco un premio letterario importante, le aveva spiegato Antonio.”
Romeo e Giulietta di William Shakespeare
“Roberto alzò gli occhi da una copia consunta di Romeo e Giulietta. Era stato scelto per interpretare Romeo nella recita di fine anno della scuola, perciò, finiti i compiti, passava ogni giorno ore e ore a leggere e memorizzare la parte. “
La romana di Alberto Moravia
“Anna entrò e chiuse la porta dietro di sé. «Ti ho riportato il libro», disse, aprendo la bolgetta. Lo tirò fuori e glielo porse. Era La romana di Alberto Moravia.”
Delitto e castigo di Fëdor Dostoevskij
“stavano invece sbirciando curiose tra i romanzi della biblioteca. Accanto a loro, Anna le stava guidando nella scelta. «Questo magari più in là», disse, sfilando dalla mano di Elisa una copia di Delitto e castigo.”
“Anna rientrò in casa. Giovanna stava seduta sul divano a leggere Delitto e castigo. «È difficile, questo libro», esclamò, tutta corrucciata, alzando gli occhi su Anna. «Mi sta venendo il mal di testa.»”
Via col vento di Margaret Mitchell
“«Via col vento», lesse Anna sulla copertina del libro. «Io l’ho già letto, e mi è piaciuto tanto», precisò Antonio. «Cos’è che ti è piaciuto?» Lui ci rifletté per un istante. «Rossella, la protagonista, ha qualcosa che ti somiglia», rispose infine. Anna abbassò la testa sul libro, tirando le labbra in un sorriso. «E poi», continuò Antonio, «mi è piaciuto il fatto che lei trova sempre la forza per ripartire, anche dopo una guerra.»”
Il conformista di Alberto Moravia
“Solo Antonio era rimasto in veranda a leggere il nuovo romanzo di Alberto Moravia, Il conformista: lo avevano scelto insieme come lettura estiva, lui e Anna, ripromettendosi di parlarne al ritorno dalla vacanza.”
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Incipit del libro “La portalettere”
Lizzanello (Lecce)
«È morta la portalettere!»
La notizia si diffuse come un lampo lungo ogni strada e vicolo del paese.
«Figurati se quella è schiattata davvero», commentò donna Carmela, facendo capolino dalla porta con aria assonnata. L’alone nerastro del mascara del giorno prima le si era tutto addensato nelle pieghe sotto gli occhi.
«Pace all’anima sua», replicò la dirimpettaia in vestaglia, e si fece il segno della croce.
«Lo dicevano, che non stava bene», s’intromise un’altra dal balcone. «Non la si vedeva in giro da un pezzo.»
«I bronchi, ho sentito», puntualizzò un donnone che stava spazzando l’uscio di casa.
«C’aveva la malattia dei portalettere», spiegò quella dal balcone. «Ferruccio, vi ricordate? Pure lui morì giovane.»
Donna Carmela fece una smorfia. «Vado a stirare il vestito delle feste», disse. E rientrò.
In una casa non troppo distante, dove finiva il centro abitato e cominciava la distesa di ulivi, Giovanna se ne stava seduta al tavolo della cucina e versava lacrime su una cartolina datata 22 maggio 1936. La piegò in due, la infilò nell’incavo dei seni e uscì.
Secondo le ultime disposizioni di Anna, la veglia funebre era stata allestita nel giardino di melograni e basilico sul retro della casa. Il mortaio che lei si era portata appresso dalla Liguria quasi trent’anni prima glielo avevano messo accanto nella bara, in cui c’erano due paia di calzette da neonato, uno rosa e uno blu, e la fede nuziale di Carlo, che Anna aveva insistito per portare con sé, infilata nel dito sopra la sua. Non le serviva altro per congedarsi dalla vita, aveva detto poche ore prima di spirare.
Roberto ciondolava nei pressi della bara, fumando senza sosta Nazionali senza filtro. Sua moglie Maria era seduta su una delle sedie di paglia che facevano da scudo al feretro, ma si muoveva di continuo. Il pancione di nove mesi la stava facendo sudare oltre ogni dire; se fosse nata una femmina, l’avrebbe chiamata Anna, come promesso.
La processione di uomini e donne venuti a porgere le condoglianze era cominciata fin dalle prime luci del giorno. Meno male che ho preparato thermos di caffè in abbondanza, pensò Maria, cambiando posizione per l’ennesima volta. In quell’istante entrò, compatto, il gruppetto di donne capitanato da Carmela, fasciata in un abito blu, i capelli acconciati in uno chignon e una spessa linea di matita nera sulle palpebre. Come una primadonna gonfiò il petto e avanzò fino alla bara, orgogliosamente consapevole degli sguardi curiosi che, come moscerini, le si appiccicavano addosso. Il bacio indirizzato alla defunta, la stretta di mano a Maria, l’abbraccio a Roberto: un’interpretazione magistrale.
Le soffiò la scena l’arrivo di Giovanna, che entrò di slancio e si gettò su Anna, stringendola e baciandole il viso così a lungo da mettere in imbarazzo tutti i presenti.
«Sempre strana è stata quella lì», mormorò qualcuno.
Poi Giovanna si raddrizzò, si sfilò la cartolina dall’incavo tra i seni, la aprì e la consegnò a Roberto, che aveva appena acceso un’altra sigaretta.
«Cos’è?» chiese lui, rigirandosela tra le mani.
«Leggi», replicò Giovanna, asciugandosi gli occhi.
«Tanti cari saluti», lesse Roberto. Poi fissò la donna, perplesso.
«No, non lì. Qui, vedi?» Giovanna posò un dito nell’angolo in alto a destra.
Roberto si accorse che i francobolli erano stati strappati via, rivelando una serie di minuscole parole.
«Un’idea di tua madre», spiegò Giovanna con la voce rotta. «Solo lei se la poteva inventare, una cosa del genere.»
Roberto avvicinò la cartolina agli occhi, sforzandosi di decifrare quello che c’era scritto. Poi guardò Giovanna con aria smarrita.
«Mi faceva scrivere un messaggio segreto per il mio innamorato e poi ci incollava i francobolli sopra», spiegò lei. «Ci siamo scritti per anni.»
Roberto accennò un sorriso e fece per ridarle la cartolina, ma Giovanna lo bloccò. «No, questa la devi tenere tu», insistette, posando la mano su quella di lui. «Come ricordo.»
«Va bene», acconsentì Roberto. E, mentre fissava Giovanna che si allontanava, arrancando, ripiegò la cartolina in due e se la ficcò nella tasca laterale della giacca. In quel momento, un’anziana col viso paffuto e dai folti capelli grigi legati in una coda a lato si avvicinò e posò ai piedi della bara un vaso di fiori bianchi.
Chissà se lo zio Antonio sarebbe venuto, pensò poi Roberto, gettando a terra la cicca. Si chiese se avesse già letto la lettera. «Portala a tuo zio, non appena non ci sarò più», gli aveva chiesto la madre, consegnandogli una busta bianca sigillata.
Anna e Antonio non si erano più parlati, dopo quella notte di nove anni prima.
Quanto può essere tenace, l’amore che cede il passo all’odio?
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Il pesto di Anna
“Il giorno dopo, Anna preparò tutti gli ingredienti in alcune ciotoline di ceramica e le dispose sul tavolo della cucina: basilico, pinoli, sale grosso, aglio, pecorino, parmigiano. Mancava soltanto l’olio di oliva, ma Antonio aveva promesso di portarglielo in mattinata. Si allacciò il grembiule dietro la schiena e tirò giù il mortaio dalla mensola.”
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