L’arte di strada si manifesta in spazi pubblici abitando il paesaggio urbano e a volte trasformandolo in qualcosa di davvero nuovo e diverso. Incontriamo Lelio Naccari, art director con Daniele Mircuda del prossimo “Festival degli Artisti di Strada” a Messina, per scoprire come mai per lui fare arte in luoghi pubblici è qualcosa di speciale.
Ciao, come stai?
Un po’ stressato ma va bene.
Perché un Festival d’Arte di Strada?
Potrei dire “Perché no?”. Non è ancora un festival a tutti gli effetti, ma così lo chiamiamo sia per questioni burocratiche che di semplicità. È una gran bella giornata di festa decisamente insolita. Lo definirei un beta, come le versioni sperimentali di app già esistenti, che possono presentare dei bug perché testano nuovi percorsi. S’inserisce in un percorso costituendone solo uno degli approdi. Daniele pare fosse lì dai primordi, tipo la scena iniziale di 2001 Odissea nello Spazio, ha bazzicato vari festival e dice che tre punti luce in una piazza bastano.
Da dove nasce l’idea?
Non so identificare un detonatore unico, a me è giunta dalle le fauci di un fumettista nostrano, di cui non posso fare il nome perché è persona molto schiva e sfuggente, non ama i riflettori; inoltre se lo pronunciassi si creerebbe uno stop spazio-temporale. All’inizio le condizioni sembravano davvero ottimali, col tempo si sono ridimensionate e allora non ho saputo dire di no perché adoro lavorare con l’acqua alla gola. Poi è arrivato Mirc che è una persona molto attiva, e l’idea di dividerci oneri e onori ha alleviato la mia ansia. Almeno per 10 minuti.
Com’è lavorare in questo contesto?
Nel mondo intendi? Funzionare con gli altri può essere usurante ma di enorme stimolo. Credo francamente che farlo sia essenziale sul pianeta in cui viviamo, ma intendo proprio con gli altri, non con quelli che la pensano come noi. È una dialettica fra le mie istanze e le tue, che deve portarci tutti a capire qual è il limite massimo da non superare; Io ho deciso che in queste cose è stare bene insieme. In scala planetaria, potrebbe essere che nessuno debba rimetterci le penne. Quale che sia il motivo di una disputa, non è possibile qualcuno venga ucciso. Là ci si ferma, il più saggio appende le palle al chiodo anche se fa la figura del fesso: Facciamo come dici tu, sottomettimi, ma la responsabilità di uccidere non me la prendo, te la lascio, meglio schiavo che assassino. Ovviamente è un discorso complesso.
Che rapporto hai con la Street Art?
Diciamo che per me l’arte, quando è tale, ha senso solo a contatto con la località e la contemporaneità. Cosa di cui la street art dovrebbe nutrirsi. Il famoso “qui, e ora” in cui pochi di noi vivono. Io ci riesco a brevi sprazzi e generalmente lì si manifesta la poesia. Forme di creatività solo intellettuali, che non sono presenti anche a ciò che succede loro intorno mi affascinano poco. Il teatro che insegno è 70% ascolto/osservazione e 30% azione. Prima di dedicarmi alla performance vengo dall’advertising che si basa soprattutto su chi è l’interlocutore, ma serve soprattutto a vendere cose di cui non hai davvero bisogno, per cui me ne sono distaccato preferendo usarne le tecniche per diffondere ciò che davvero ritengo essenziale.
Cosa è essenziale?
Noi, la vita, star bene, conoscersi, essere sé stessi.
Pensi sia una cosa coltivata abbastanza?
Oggi la maggior parte di quello che facciamo è comunicazione, e una minima parte quello che effettivamente si fa. Stento ad abituarmici. È vero che se nessuno sa che esiste una certa cosa è come se non ci fosse, ma se per esistere dobbiamo essere saputi, anche noi diventiamo dipendenti da ciò che gli altri pensano e dicono di noi. È una schiavitù costante. Non penso la vita sia fatta per questo.
Per cosa è fatta?
Mah, in effetti per nulla in particolare, è una tela bianca su cui ognuno può disegnare o scrivere quello che gli pare. Il problema – se così violentemente vogliamo definirlo – è che la più parte di noi non scrive ciò che davvero è o sente, ma si muove secondo due o tre linee standardizzate di pensiero. Per lo più ci sono quelli così, i nemici di quelli così, e quelli ai margini della festa, non sapremo mai se per scarsa consapevolezza o eccesso di consapevolezza. Mi sento fra questi, ma accetto la sfida di giocarmela.
È un mondo difficile?
Il mondo è com’è. La realtà che vediamo esce dagli occhi, non ci entra. Più fai le cose in grande più si complicano. Qui, trattandosi di rapporti con l’amministrazione ti muovi dentro un contesto abbastanza specifico. Vorrei libertà creativa assoluta, non può essere, però uno spazio c’è. Ho sempre fatto spettacoli interattivi cercando di mettere il pubblico al centro, per cui adattamento e variazione sono messi in conto, ma quando fai le cose da solo almeno la metà delle carte le hai in mano tu.
Se la realtà è come la dipingi, perché è difficile?
Perché non sai come la dipingi, te ne accorgi strada facendo. Devi fare i conti con le aspettative che hai, sia su di te che sugli altri, farci pace ogni giorno. È facile dire “non avere aspettative”, ti si formano da sole in testa, magari per cultura, retaggi familiari o che ne so. Ma il mondo, la realtà, è davvero una cosa grossa e poliedrica che ti sfugge di mano continuamente. La presenza di Daniele che ringrazio mi aiuta ad attaccarmi meno al risultato, anche se non riesco a dedicarmi con passione a qualcosa e fregarmene del tutto di come verrà fuori, senza volerne curare ogni dettaglio, non ancora almeno.
Continua …