Il 7 ottobre è una data che si è incisa nella carne viva della storia, un attacco terroristico di una violenza e crudeltà disumana, è stato anche il giorno in cui la violenza, la crudeltà, l’odio si è potenziato, si è allargato, è risalito a galla sgorgando sangue.
Dal 7 ottobre penso al dolore, alla sofferenza, a chi ha perduto i propri cari, a chi ha perduto la dignità, ai cuori di tutti i bambini che non battono più, ai sogni interrotti dei giovani, alle vittime innocenti. E pensando a loro, guardando questa terra minuscola sospesa nell’universo, tutte le bandiere si sgretolano, i carnefici, gli assassini, non hanno più bandiere, sono solo carnefici e assassini, nient’altro.
Un attacco alla speranza
Il 7 ottobre 2023 i tagliagole di Hamas hanno colpito quella parte di Israele più vicina alle istanze dei palestinesi, hanno colpito i giovani, quelli più contrari al governo di estrema destra di Netanyahu e alle sue politiche di apartheid. Hanno colpito gli abitanti dei kibbutz, rappresentanti dello storico pacifismo ebraico e dell’ esperimento socialista e sociale delle comunità agricole, da sempre impegnate culturalmente e in ambito lavorativo nel dialogo con la controparte palestinese e nel credere nella possibilità di due popoli, due stati. E mi farei qualche domanda anche su questo.
Come quando hanno tagliato la gola e ucciso Vittorio Arrigoni che ha sempre lottato per il riconoscimento del popolo palestinese e la fine dell’occupazione, auspicando l’esistenza di due stati in pace. Il 7 ottobre è stata uccisa la speranza per un mondo migliore, la colomba della pace è volata via da quelle terre tantissimi anni fa, ma oggi è volata via dai nostri cuori.
Il 7 ottobre, due facce della stessa follia
Hamas e gli estremisti israeliani si specchiano l’uno nell’altro, due facce della stessa follia. Chi, da lontano, alimenta questa guerra a colpi di commenti d’odio sui social è un segno di infantilismo politico e non solo politico, di un’umanità che ha dimenticato la compassione e lucidità.
Il 7 ottobre è uno specchio, ci ha mostrato ciò che siamo diventati, un’umanità che sa costruire razzi e grattacieli, ma non ponti. Che si connette in un istante con chiunque nel mondo, ma non riesce più a comprendere chi gli sta accanto.
Dovremo riflettere sul significato di supremazia di un popolo, riflettere sul credere che altri popoli siano privi di valore come esseri umani e che le loro terre possono essere rubate assieme al futuro dei loro figli. La disumanizzazione del diverso porta solo conflitto.
Quel giorno ci ha ricordato che la pace non è un diritto acquisito, ma un equilibrio fragile, che vive solo se lo custodiamo ogni giorno. E che la memoria, se non serve a imparare, diventa soltanto un rituale sterile. Bisogna ascoltare, comprendere, scegliere. Perché il dolore degli altri, se resta “degli altri”, continuerà a moltiplicarsi. E allora ogni giorno rischierà di diventare un altro 7 ottobre.