
Qualcuno ucciderà è un thriller di James Patterson, pubblicato il 10 settembre 2020 da Longanesi, un altro capitolo della saga con protagonista Alex Cross.
Washington, D.C. non è mai stata più pericolosa. Il rumore degli spari infrange la quiete notturna di un tranquillo quartiere residenziale della città. Quando torna il silenzio un uomo giace a terra, morto. Ma quello che inizialmente sembra essere un regolamento di conti fra criminali di strada potrebbe nascondere qualcosa di molto, molto più sinistro.
“Aveva cominciato a piovigginare, quando John Sampson e io scendemmo dall’auto civetta in Rock Creek Parkway, a sud di Massachusetts Avenue. Erano solo le sei e mezzo del mattino, ma l’umidità era già tale che sembrava di essere in un bagno turco.
La corsia di sinistra era stata chiusa al traffico ed era occupata dal furgone dell’Istituto di medicina legale e da due volanti della Metropolitan Police. Prevedevo code e ingorghi da lì a poco.
Il più giovane dei due agenti che ci vennero incontro fece la faccia sorpresa, nel vederci arrivare. «Cosa ci fate voi della Omicidi? Il tipo è finito contro un albero perché andava a velocità folle.»
«Ci risulta siano stati uditi degli spari appena prima dell’incidente» spiegai.
Sampson chiese: «La vittima è stata identificata?»
«L’auto è intestata a un certo Aaron Peters di Bethesda.»
«Grazie» dissi. E mi avviai verso la Maserati.
Era ribaltata e la fiancata destra sembrava abbracciare la base del tronco di un grande acero giapponese. I finestrini erano esplosi e la carrozzeria era quasi completamente carbonizzata.”
Alex Cross ha appena iniziato a indagare quando una nuova telefonata gli impone di correre dall’altra parte della città. Un’altra sparatoria. Un altro morto. Ma stavolta la vittima è una sua conoscenza: il suo ex capo e l’adorato mentore di Bree, la moglie di Alex, è stato freddato. Senza il suo comandante, la polizia rischia di andare alla deriva, mentre i cittadini di Washington si fanno prendere dal panico e la lista di possibili sospetti si allunga. In una tale situazione di emergenza, il Dipartimento seleziona proprio Bree per sostituire il capo della polizia. La donna deve riuscire a chiudere quello che ha tutta l’aria di essere un caso di assassino seriale, e riportare l’ordine in città. Alex non può che aiutare in tutti i modi la moglie, ma quando l’istinto porterà ciascuno di loro su piste opposte, anche l’amore sarà minacciato da una crisi profonda. Alex e Bree dovranno riuscire a risolvere il caso prima che questo li metta entrambi fuori dai giochi… per sempre.
“Sampson accese lampeggianti e sirena e partimmo alla volta di Georgetown. Notai che aveva smesso di piovere e chiamai l’ispettrice Bree Stone, mia moglie, che quel giorno aveva un’udienza in tribunale. Speravo che…
Bree rispose e chiese subito: «È stato un incidente, a Rock Creek?»
«Omicidio» replicai. «Ma ti chiamavo per dirti che Michaels ci ha appena mandato a Georgetown. Hanno sparato a due persone. Purtroppo una è Tommy McGrath. Mi spiace.»
Dopo un lungo silenzio, sentii che singhiozzava. «Oddio, Alex. Mi viene da vomitare.»
«Ho avuto la stessa identica reazione. Cosa mi sai dire?»
«A proposito di Tommy? Non saprei. Che si è separato dalla moglie qualche tempo fa.»”
Non ci sono ancora molte recensioni in rete, ma quelle poche sono tutte positive, dobbiamo aspettare qualche altro mese per farci un’idea più chiara, la cosa migliore è leggerlo e farci una nostra personale opinione.
PROLOGO
ASSASSINIO SUL ROCK CREEK1
Come molti guerrieri, prima della battaglia cambiava identità. In serate come quella, si chiamava Mercury.
Vestito di nero dal casco integrale agli scarponi con la punta rinforzata in acciaio, Mercury si fermò vicino a un grande rododendro su Rock Creek Parkway, a sud di Calvert Street, e arretrò con la moto fino a nasconderla fra i rami. Rimase in sella con il motore acceso e prese in mano un ladar per misurare la velocità dei veicoli che passavano.
Settantadue chilometri all’ora. Settanta. Ottantatré. Numeri bassi, ordinari, noiosi.
Mercury sperava di vedere sullo schermo cifre un po’ più interessanti. Confidava di veder apparire sul display un numero come si deve prima dell’alba. Si era posizionato nel punto migliore.
Rock Creek Parkway era stata costruita negli anni Venti allo scopo di preservare il patrimonio paesaggistico della zona. A quattro corsie, partiva dal Lincoln Memorial e si snodava fra parchi, boschi e giardini per oltre quattro chilometri per poi dividersi nel Northwest di Washington. Il tratto sulla destra si chiamava Beach Drive e si addentrava ulteriormente nel parco, mentre Rock Creek Parkway, sulla sinistra, proseguiva fino all’incrocio con Calvert Street.
Sessantanove chilometri orari, secondo il ladar. Settantacinque. Settantadue.
Non erano valori sorprendenti, visto che il limite di velocità era settanta km/h. La strada attraversava infatti un parco iscritto nel registro nazionale dei beni storici e a occuparsi della sua manutenzione era il National Park Service.
Il percorso che seguiva era quanto di più simile a un circuito di Formula 1 esistesse nel District of Columbia: lunghe curve a esse, chicane, alcuni dislivelli e rettilinei paralleli al corso del torrente. Ed era lungo il doppio rispetto all’autodromo di Watkins Glen, nello Stato di New York, che aveva ospitato diverse edizioni del Gran Premio degli Stati Uniti d’America.
Questo lo rende un bersaglio interessante, pensò Mercury. Prima o poi qualcuno ci proverà. Se non oggi, un’altra sera.
Aveva letto sul Washington Post che un giorno su tre un parassita della società, figlio di papà o vecchio rimbambito che fosse, usava Rock Creek Parkway per mettere alla prova la Porsche nuova o la BMW truccata. Fra coloro che facevano i furbi su quella strada non mancavano i ragazzi dei sobborghi che fregavano la Audi al padre e le madri di famiglia di mezz’età.
La voglia di correre attirava gente di tutti i tipi a Rock Creek Parkway. Un giorno su tre, ricordò Mercury. Quella sera, però, le probabilità erano ancora più alte.
Qualche giorno prima, infatti, un’impasse sul budget aveva portato allo shutdown del governo federale e i fondi per la manutenzione del parco erano stati bloccati. Ai dipendenti era stato sospeso lo stipendio ed era stato ordinato di non recarsi al lavoro per motivi di sicurezza. A controllare che nessuno superasse i limiti di velocità, pertanto, c’era soltanto Mercury.
Passarono le ore. Le auto che transitavano erano sempre meno, ma Mercury continuava imperterrito a misurare la velocità con il suo ladar, in attesa. Alle tre meno un quarto gli venne sonno e prese in considerazione di chiuderla lì, ma sentì il rombo di un motore di grande potenza arrivare da Beach Drive.
Fu sufficiente a fargli scattare la mano destra per dare un’accelerata, preparandosi a partire. Puntò il ladar con la sinistra mentre il rombo si faceva più forte e più vicino.
Non appena vide le luci del veicolo, attivò l’apparecchio.
Centoquindici chilometri all’ora.
Lanciò il ladar fra i cespugli. Sarebbe passato a recuperarlo in un secondo tempo.
La Maserati sfrecciò oltre.
Mercury diede gas e mollò la frizione, uscendo a razzo dal suo nascondiglio e superando al volo il ciglio della strada per atterrare in una nuvola di fumo a un centinaio di metri dalla macchina sportiva.2
La Maserati era nuova di zecca, aerodinamica, nera. Una Quattroporte, pensò Mercury, e probabilmente SQ5. Ma aveva avuto soltanto una frazione di secondo per ammirarla, data la velocità a cui procedeva.
Mercury era esperto di macchine sportive. La Maserati Quattroporte SQ5 aveva un motore a sei cilindri turbo, capace di raggiungere i duecentottantacinque chilometri orari, con trasmissioni, sospensioni e sterzo straordinari.
Insomma, era un’avversaria degna, su Rock Creek Parkway. Nessuno avrebbe mai immaginato che una moto la potesse sorpassare, su una strada così impegnativa.
Errore.
La moto di Mercury era un bestione che raggiungeva i trecento chilometri orari restando agile in curva e nelle chicane, con qualsiasi condizione di strada. E Mercury la sapeva portare benissimo. Guidava moto di grossa cilindrata da una vita e si sentiva tutt’uno con il mezzo.
Centoventi, centoquaranta. Vide accendersi gli stop della Maserati davanti a lui all’uscita di una curva: il pilota era arrivato lungo e non era pronto ad affrontare la curva successiva.
Mercury approfittò della sua esitazione: si abbassò, diede gas e tagliò la seconda curva a velocità prodigiosa. All’uscita, era vicinissimo al paraurti posteriore della Maserati, e marciava a centoventi.
A quel punto c’era un rettilineo di circa un chilometro e mezzo e la Maserati accelerò cercando di aumentare le distanze, ma contro il mezzo truccato di Mercury non aveva chance.
Mercury le rimase incollato, mollò la manopola sinistra e prese la Remington 1911 che aveva attaccato al serbatoio con il velcro.
Centoquaranta. Centoquarantacinque.
Si avvicinava una curva a sinistra, lunga e difficile, dove la Maserati sarebbe stata costretta a ridurre la velocità. Mercury decelerò e aspettò il momento giusto.
Appena vide accendersi gli stop della macchina sportiva, accelerò e in un attimo la affiancò dal lato del passeggero. Il sedile era vuoto.
Mercury vide appena la silhouette del conducente e fece fuoco due volte. Il finestrino andò in frantumi. I proiettili colpirono nel segno.
La Maserati sbandò a sinistra, urtò contro il guardrail e fece un testacoda. Mercury sfrecciò via. Poi scalò e frenò per prepararsi alla curva a sinistra.
Nello specchietto retrovisore vide che la Maserati superava la barriera, andava a sbattere contro un albero ed esplodeva in una palla di fuoco.
Non provava la minima compassione per il conducente.
Quel deficiente avrebbe dovuto sapere che la velocità uccide.