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SEI QUI: Home » Libro Caffè » Genere Libri » Narrativa » Davide Cardone – Brutte persone (Recensione)
In Primo Piano

Davide Cardone – Brutte persone (Recensione)

4 Agosto 2025Updated:5 Agosto 2025Nessun commento12 Mins Read
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Davide Cardone - Brutte persone

Davide Cardone - Brutte personeBrutte persone di Davide Cardone, un romanzo che esplora il richiamo oscuro delle ferite, quell’attrazione inspiegabile verso ciò che può farci male. È la storia di legami che ci consumano, di decisioni prese per restare a galla pur sapendo, nel profondo, che l’acqua potrebbe trascinarci giù.

“Non devi giustificarti. Lo so, mette paura. Anch’io sono molto inquietato da quel tizio. Non è come me e te. Lui sì che è una brutta persona.”

Trama del libro Brutte persone

A volte basta una nuova vicina per far esplodere tutto. Letteralmente.

Ismaele Saraceno vive solo al piano terra di un condominio popolare di Rimini. Ha imparato a stare alla larga da tutto: dai sentimenti, dalle ossessioni, dai vicini, da se stesso. Ma l’arrivo di Marta e di suo figlio Bruno incrina quel fragile equilibrio.

“Chiamatemi Ismaele.
Così comincia Moby Dick di Herman Melville. È stato per quell’incipit che mia madre Marina, divoratrice di romanzi d’avventura, volle chiamarmi in quel modo. Mi è andata bene. Avrei potuto chiamarmi Achab o Quequeg e non sarei uscito vivo nemmeno dalle elementari.”

Marta è bella, poco riservata, ma porta con sé un segreto che non racconta. Come se non bastasse, il suo ex, Armando, è un camorrista con una condizione psichiatrica particolare. Ismaele, che ha passato una vita a evitare il coinvolgimento, si ritrova dentro una storia che non desiderava, tra persone che non avrebbe neppure voluto conoscere ed è costretto a uscire dal suo rifugio.

“avevo promesso che non l’avrei lasciata. Già, perché la sera prima, dopo il sesso, avevo fatto anche quello. Perché gli uomini dopo il sesso tendono ad addormentarsi? È l’ultima difesa che la Natura ci ha concesso. Se resti sveglio prometti cose. Dormi coglione.”

Recensione

Di norma evito i libri autoprodotti, non per pregiudizio, sia chiaro, ma per un criterio nato dall’esperienza, in passato ho aperto le porte a numerosi autori indipendenti, consapevole che tra le loro opere si celano spesso autentiche gemme, eppure, la fortuna non è sempre stata dalla mia parte. Troppe volte mi sono imbattuta in letture trascurate, in testi acerbi che hanno finito per sottrarmi tempo prezioso. Così, negli anni, ho imparato a muovermi con maggiore cautela, a scegliere percorsi più sicuri.

Eppure, a questo libro ho voluto dare una possibilità. E non per caso.

Ho scoperto Davide Cardone grazie al suo profilo Instagram, dove scrive recensioni, e le scrive bene. La sua scrittura ha un ritmo che colpisce, preciso ma mai freddo. E poi c’è la voce, perché Davide non si limita a scrivere, trasforma le sue recensioni in podcast su Spotify, un’idea semplice, ma efficace, che mi ha permesso di cogliere un’altra sfumatura della sua personalità.

Così, pur con un po’ di timore, ho iniziato a sfogliare le prime pagine, il dubbio era lì, pronto a riaffiorare: “E se fosse un’altra delusione?” Ma pagina dopo pagina ho scoperto che non solo scrive, ma sa anche cosa farne delle parole, mi sono ritrovata coinvolta e sempre più incuriosita. Ed io che partivo scettica mi sono ritrovata a volerne ancora.

“La delusione non abbandona mai nessuno, perché non nasce dal nostro prossimo. È l’asso nella manica, il memento mori. Non appena ti abbandoni alla fiducia salta fuori e ti ricorda che gli altri vivono per se stessi, non per le tue aspettative.”

Ci sono libri che non si lasciano classificare con facilità, quelli che sfuggono a ogni etichetta, che si muovono come creature inquiete tra generi diversi. Questo è uno di quelli, sospeso tra la commedia nera e il thriller psicologico, un ponte instabile tra ironia corrosiva e inquietudine profonda.

L’autore non teme di affondare lo sguardo nelle zone oscure della psiche umana, di mostrarci personaggi ambigui, legami opachi, dove ogni gesto nasconde una motivazione che non sempre si rivela subito, dinamiche che sembrano innocue e invece nascondono ferite antiche.

“Nel resto della vita, almeno lui, avrebbe avuto solo i problemi che gli adulti riescono a cucirti addosso pensando di farti del bene. Che poi è per quello che sono difficili da disfare.”

Lo stile è personale, diretto e colloquiale, con una voce narrante, quella di Ismaele, condita da un umorismo nero e un sarcasmo che stemperano i temi più cupi, senza mai banalizzarli. Alcune espressioni dialettali, disseminate qua e là, restituiscono autenticità ai personaggi, come una spezia che dà sapore.

La trama è solida, ben congegnata, e costellata di sorprese, per questo devo stare attenta a non svelare troppo, sarebbe davvero un peccato sottrarre questo piacere ai lettori. Ma posso dire che questo libro, sotto la superficie della vicenda, è anche una riflessione sulla natura del male, sull’identità, sulla nostra tenace voglia di sopravvivere.

“La sopravvivenza è una condizione pura per l’essere umano. È come una linea tracciata a terra che divide quello che serve dalle cose inutili, senza vie di mezzo, senza sovrastrutture etiche e morali.”

Il condominio narrato non è semplice scenario, è un microcosmo di fragilità, conflitti e drammi, popolato da figure diverse che si muovono e si urtano, incrociando le traiettorie di Ismaele, uomo che si proclama misantropo e antisociale, che vuole restare a distanza, osservare da dietro le tende, eppure, inevitabilmente, finisce risucchiato in storie che mettono alla prova le sue difese.

E poi c’è lei, Marta Adamo, che lui definisce “la personificazione di un innesco”, la miccia che fa saltare tutto. A farle da contrappunto, Armando Russo, ex compagno di Marta e padre di suo figlio, Bruno. Armando è un predatore perfetto, uno di quei psicopatici puri che mettono a disagio già al primo sguardo. Il contrasto fra la “banalità del Male” incarnata da Armando e la complessità di Marta crea una tensione narrativa che non concede tregua.

“Non era uno “Spargi Merda” come lo sono abitualmente i criminali. Il vero criminale ha una tendenza naturale all’esagerazione, forse per il desiderio inconscio di essere punito. Non era un criminale regolare, ma nemmeno una persona come tutte le altre, nonostante si cogliesse un certo sforzo per sembrare tale. La sua interpretazione era troppo perfetta perché lo fosse, le persone normali hanno sempre qualcosa di sbagliato, è inevitabile. E poi c’erano quegli strani occhi che ogni tanto sembravano senza vita. Da brividi.”

Alla fine, resta un pensiero: siamo pieni di brutte persone, a volte dentro, a volte fuori di noi, ma che si può comunque cercare un equilibrio, una fetta di felicità. Anche se per ottenerla bisogna deviare dai piani che avevamo immaginato, rompere qualche regola, affrontare mostri che non sempre hanno la faccia da mostro, affrontare sfide che non avremmo voluto vedere arrivare.

”La vita è un sospiro, è meglio farlo bello profondo.”

Sono felice di aver aperto la porta a questo libro e al suo autore. È stata una lettura capace, con simpatia, di dare un volto e un nome agli inquilini del mio condominio interiore, ed anche uno sguardo un po’ più indulgente, verso me stessa. In qualche modo mi ha arricchita, anzi ci ha arricchito, e chissà, potrebbe farlo anche a voi.

“Non mi trovavo in una di quelle storie di fantasia dove tutti confessano le proprie bassezze e poi ricominciano più felici di prima. Ognuno è padrone di ciò che tace e schiavo di ciò di cui parla. Chi lo diceva?”

Ah … dimenticavo, lo diceva … scopritelo da soli, un indizio S. F.

Davide Cardone - Brutte persone

La questione copertina

Quando ho visto la copertina di questo libro, nel suo rosso deciso con la faccia di questo ovetto dall’espressione enigmatica, mi ha subito colpito, ho intravisto un pensiero dietro ed una forma di creatività simbolica. Poi dopo qualche mese Davide mi comunica che per esigenze di marketing ha dovuto optare per una copertina più convenzionale. La nuova copertina è carina, ma per quanto mi riguarda sembra qualcosa di già visto, l’immagine che accompagna questo testo si è omologata alle mode del momento. E sono quasi certa, conoscendomi, che non mi avrebbe colpito come ha fatto la precedente.

La questione delle copertine dei libri nel marketing editoriale è molto più profonda e strategica di quanto si pensi. Non si tratta solo di un esercizio estetico, la copertina è il primo strumento di vendita, il biglietto da visita emozionale di un libro. In pochi secondi, deve catturare l’attenzione, comunicare il genere, suggerire il tono e invogliare all’acquisto.

I lettori giudicano il libro dalla copertina? Sì, a parte qualche eccezione. Anche se razionalmente sappiamo che “non si dovrebbe”, l’impatto visivo ha un ruolo determinante nelle scelte d’acquisto. Spesso l’autore ha scarso potere decisionale sulla copertina, soprattutto nelle grandi case editrici. Le decisioni vengono prese dal team marketing, in base ai dati di mercato e alle tendenze del momento.
I bestseller impongono modelli ricorrenti dopo il successo di certi titoli, esempio “L’amica geniale”, molte copertine di romanzi femminili hanno adottato colori pastello e foto d’epoca. La copertina non è più solo arte grafica, è branding, storytelling visivo e marketing mirato.

La domanda è cruciale: omologarsi alle richieste del mercato è una scelta strategica o una resa creativa? La risposta è molto complessa ed anche soggettiva. C’è una differenza tra essere conformisti e usare il linguaggio del mercato per farsi ascoltare, mantenendo però una voce personale.

Penso che l’omologazione soffochi la personalità. Se tutti i libri si somigliassero, tutto diventerebbe intercambiabile. In un mondo rumoroso e frenetico, a volte il coraggio della dissonanza premia più dell’aderenza, forse il rischio è diventare invisibili nel branco, però seguire il mercato oggi può significare essere irrilevanti domani, quando quella moda sarà superata.

Si può trovare un punto di equilibrio? Una Strategia senza snaturamento? È possibile fare scelte editoriali e grafiche coerenti con il mercato senza rinunciare alla propria voce? Difficile, sarebbe giusto non lasciare che le logiche del mercato soffochino l’identità dell’autore. Credo che, come in ogni forma d’arte che cerca pubblico, la chiave sta nel dialogo tra autenticità e ascolto, omologarsi al mercato può essere giusto, se non comporta una rinuncia alla sostanza, ed in questo caso fortunatamente la sostanza c’è.

“Napoli. Napoli la caotica. Napoli bellezza vestita di stracci. Napoli profumata di mare. Napoli dove se sei felice devi urlare, dove i fatti tuoi non esistono e nemmeno alle regole si fa troppo caso. Napoli da amare e odiare, tutto assieme. Napoli fu difficile.”

Potere trovare Davide Cardone
sul suo sito https://www.davidecardone.it/
su Instagram DadoCardone

Insieme a Davide Grassi, ha dato vita a Crimini@ un podcast True Crime davvero interessante: ogni stagione è dedicata a casi risolti, incentrati su specifiche località italiane. Un viaggio nel crimine reale, raccontato con rigore ma anche con rispetto. Hanno iniziato da casa loro: Rimini.

Incipit del libro Brutte persone

PROLOGO
C’era questo gatto, Lello, un norvegese dal pelo lungo. Non era il mio gatto, non più di quanto io appartenessi alla trattoria vicino a casa. Passava per mangiare e nel resto della giornata si faceva i fatti suoi. Non crediate però che io sia diventato il suo ristorante preferito dall’oggi al domani.

Abitavo al piano terra di un condominio. Venne a bussare alla mia finestra un inverno di qualche tempo fa. Era guercio, spelacchiato, pieno di parassiti, con un orecchio bucato e affamatissimo. Da offrirgli avevo solo una lattina di cibo per cani, di quelle grosse, ereditata da chissà quale spesa sbagliata. La finì in pochi minuti senza fare complimenti. La stessa scena si ripeté uguale per qualche giorno, anche se nelle successive visite trovò cibo per gatti. Un mio scrupolo, per lui sarebbe stato lo stesso, qualsiasi cosa gli facessi trovare lui la divorava come fosse l’ultimo pasto della vita.

Fu proprio questo attaccamento alla sopravvivenza a colpirmi e a farmi decidere di portarlo da un veterinario, che lo rasò, lo castrò e lo vaccinò. Tornando a casa mi fissò per tutto il viaggio dalle sbarre del trasportino. L’occhio guercio conferiva un che di biasimo nella sua espressione. Bel servizio mi hai fatto.

Il veterinario, tra le altre cose da fare e comprare, mi consigliò di tenerlo chiuso da qualche parte, almeno fino a che non fosse passato l’effetto dell’anestesia. Stanze in più da tenere chiuse non ne avevo, così lo portai in cantina per la notte. Il giorno dopo ebbi un’altra prova del carattere indomito del felino. Era così follemente aggrappato alla sua libertà da riuscire a raggiungere una bocca di lupo a due metri e mezzo di altezza. Il muro sotto la finestrella era pieno dei graffi lasciati nel tentativo di raggiungerla. Doveva averci provato tutta la notte mentre si riprendeva dall’anestesia. Lo liberai subito, sicuro di non rivederlo più. Invece la sera stessa tornò a bussare alla mia finestra, puntuale per la cena.

Anche se lo avevo tosato, narcotizzato e castrato, tra noi si creò un certo rapporto. Non il classico legame tra animale ed essere umano, più che altro eravamo buoni conoscenti. Coccole e grattini non ne voleva. Alle vocine e ai vezzeggiamenti rispondeva guardandoti in tralice con quella sua strana espressione che sembrava dire: «Ma sei scemo?»
Gatto atipico Lello. A proposito, gli diedi quel nome perché mi sembrava adatto a un vecchio scontroso e comunque quando lo chiamavo così si girava. Non era strano solo con le persone, lo era anche con tutti gli altri gatti. Quando litigava ad esempio, e lo faceva spesso anche dopo aver perso i testicoli, non si esibiva in tutto quel soffiare e strillare tipico della sua specie. Si faceva sotto all’avversario senza fare versi e poi tirava un gancio artigliato sul muso del malcapitato.

Il massimo della confidenza che Lello mi concesse negli anni, oltre a mangiare quello che gli davo, fu di fermarsi a dormire sotto le mie finestre, con l’innegabile vantaggio che nessun gatto venne più a pisciarmi nel giardino. Neanche lui lo faceva. Guidato dalla sua rara intelligenza si serviva del giardino del vicino per tutti i suoi bisogni.

Un gatto concreto. La famosa sera in cui una granata fece saltare in aria il mio salotto i primi intervenuti notarono subito le sue impronte sull’intonaco, trasferito completamente dai muri al pavimento. Andavano dalla finestra in frantumi all’armadietto in cui tenevo il suo cibo. L’esplosione aveva divelto il mobile, alla busta delle crocchette “quaglia e melograno” ci aveva pensato lui. A una certa ora Lello doveva mangiare, cascasse il mondo.

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Davide Cardone Narrativa Recensione
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