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SEI QUI: Home » Libro Caffè » Autori Libri » Dickens Charles » Le avventure di Oliver Twist – Charles Dickens
Dickens Charles

Le avventure di Oliver Twist – Charles Dickens

KettyDa Ketty9 Febbraio 2012Aggiornato:8 Luglio 2016Nessun commentoTempo di lettura: 9 min.
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Le avventure di Oliver Twist – Charles Dickens

Le Avventure di Oliver Twist (titolo originale in inglese: Oliver Twist) fu il secondo romanzo pubblicato da Charles Dickens. Apparve in prima edizione a puntate mensili sulla rivista Bentley’s Miscellany, dal febbraio 1837 all’aprile 1839, con illustrazioni di George Cruikshank.

“Il tuo difetto nella vita è che non hai guardato mai abbastanza lontano. Tu devi, per far giustizia alla tua famiglia, se non a te stesso, dare una occhiata comprensiva agli estremi punti dell’orizzonte ai quali le tue capacità ti possono condurre”

È una delle opere più celebri e influenti dell’opera di Dickens. Fu il primo romanzo in lingua inglese ad avere come protagonista un ragazzo e uno dei primi esempi di romanzo sociale.
Inedita per l’epoca fu anche la rappresentazione fortemente anti-romantica della vita dei delinquenti e dei poveri.
Attraverso un rovesciamento del romanzo di formazione e un dissacrante umorismo nero, il romanzo analizza i mali della società inglese ottocentesca: la povertà, il lavoro minorile, la criminalità urbana, e la intrinseca ipocrisia della cultura vittoriana.

“Quale nobile esempio delle soavi leggi inglesi! Permettono ai poveri persino d’andare a dormire!”

Oliver è un orfano che nasce e cresce fino all’età di nove anni in un orfanotrofio, dove soffre la fame e subisce i maltrattamenti dal direttore, il signor Bumble. Prima viene assunto in un’impresa di pompe funebri ma anche qui viene trattato male e così un giorno fugge e arriva a Londra, dove però per ingenuità si lascia coinvolgere da una banda di ladruncoli che vive nei bassifondi della città ed è capeggiata dal vecchio Fagin. Così per il ragazzo comincia una vita sotterranea e notturna insieme a Fagin e a Dogder, Bates (detto Lo Scaltro), Claypole e soprattutto Nancy, fondamentalmente buona ma traviata dal suo amante, il violento Sikes. Un giorno la banda deruba il signor Brownlow e Oliver ne approfitta per allontanarsi dal gruppo, ma, dopo essere stato ospitato dallo stesso Brownlow, viene riacciuffato dal gruppo di ladri. L’inquietante e misterioso Monks lo convince a lavorare per lui come ladro, ma il suo primo colpo finisce male: Oliver resta ferito e viene curato in casa della signora Maylie e della nipote adottiva Rose. Fagin, con l’aiuto di Monks, tenta di riprendersi il ragazzo, ma la compassionevole Nancy avverte Rose del complotto e in più le fa capire che sa il passato di Oliver. Sikes, scoperto il tradimento di Nancy, la uccide e mentre tenta di fuggire, muore anche lui. La banda viene smantellata dalla polizia e infine si scopre che Oliver è il fratello illegittimo di Monks (quindi Rose è la zia di Oliver in quanto sorella di sua madre) e che questi voleva sbarazzarsene per non dividere con lui l’eredità del padre. Alla fine del romanzo Oliver viene adottato del signor Brownlow. Scoperti tutti i reati compiuti, Fagin viene arrestato, e dopo pochi giorni muore in cella. Rose si sposa con il suo fidanzato Harry e va a vivere vicino a Oliver. Monks deve purtroppo accettare di dividere l’eredità del padre con Oliver ma questi soldi li spenderà tutti per ritornare alla vita da ragazzo normale. Infine, Claypole e Bates si liberano dei “loro amici“ e diventano rispettivamente un informatore della polizia e un importante agricoltore.

“Non c’è rimorso tanto profondo quanto quello impotente, e se vogliamo risparmiarci le sue torture, ricordiamocelo in tempo.”

Oliver Twist (1) FCapitolo I. Tratta di dove nacque Oliver Twist e delle circostanze relative alla sua nascita

Tra gli altri edifici pubblici di una certa cittadina, che per diverse ragioni sarà per me prudente astenermi dal menzionare e alla quale neanche assegnerò un nome fittizio, ve n’è uno familiare un tempo alla maggior parte delle città, grandi o piccole che fossero, e cioè un ospizio di mendicità. E in questo ospizio, in un certo giorno, mese e anno che non devo darmi pena di precisare, giacché il conoscerli non potrà riuscire di alcuna utilità al lettore – per lo meno allo stato attuale delle cose – nacque l’articolo di mortalità il cui nome compare nel titolo di questo capitolo.
Per parecchio tempo, dopo che fu introdotto in questo mondo di dolore e sofferenza dal medico della parrocchia, si dubitò fortemente che il bambino sarebbe sopravvissuto per portare un nome qualsiasi; nel qual caso, è più che probabile che queste memorie non avrebbero mai visto la luce; o che, vedendola, e ridotte a poche pagine soltanto, avrebbero avuto l’inestimabile pregio di essere l’esempio di biografia più fedele e concisa nella letteratura di ogni età o paese.
Sebbene io non intenda affatto sostenere che nascere in un ospizio costituisca di per sé la più fortunata e invidiabile circostanza che possa capitare ad un essere umano, affermo però che in questa particolare circostanza nulla di meglio sarebbe potuto capitare al giovane Oliver Twist. Fatto si è che vi furono notevoli difficoltà nell’indurre Oliver ad assumersi in prima persona l’incarico di respirare – gravoso esercizio, certo, ma che l’abitudine ha reso necessario al conforto della nostra esistenza – e per qualche tempo egli giacque annaspando su di un materasso di stracci, pericolosamente in bilico tra questo mondo e quell’altro, ma con la bilancia che pendeva decisamente verso il secondo. Ora, se in questo lasso di tempo Oliver fosse stato circondato da nonne premurose, da zie solerti, da infermiere esperte, e da dottori di profonda saggezza, senza dubbio alcuno ci avrebbe lasciato le penne in men che non si dica. Ma altri non trovandosi nei paraggi se non una povera vecchia, intontita da un’insolita dose di birra e, per dovere d’uffico, il medico della parrocchia, Oliver e la Natura sistemarono la questione tra loro due e il risultato fu che Oliver, dopo alcuni tentativi, respirò e starnutì, e passò poi a rendere edotti quelli dell’ospizio della circostanza che un nuovo fardello veniva a gravare sulla parrocchia col cacciare uno strillo così acuto quale mai ci si sarebbe ragionevolmente potuti attendere da un bambino di sesso maschile, dotato di quell’utilissimo attributo che è la voce da non più di tre minuti e un quarto.
Mentre Oliver dava questa prima prova del libero e spontaneo funzionamento dei propri polmoni, la coperta rappezzata gettata negligentemente sul letto di ferro si smosse, il pallido viso d’una giovane si sollevò debolmente dal cuscino e una voce estenuata articolò imperfettamente le parole: «Lasciatemi vedere il bambino e poi morire».
Il medico, che era rimasto seduto rivolto al fuoco e a turno si scaldava e fregava le mani, alle parole della giovane s’alzò e avvicinandosi a capo del letto disse, con più gentilezza di quanta ci si sarebbe potuta attendere da lui:
«Oh! Non dovete parlare di morte, adesso».
«Che Dio la benedica, no!», interloquì la vecchia infermiera, riponendo frettolosamente in tasca una bottiglia di vetro verde, del cui contenuto aveva gustato con evidente soddisfazione, in un angolo. «Che Dio la benedica, quando avrà campato come me, signore, e avrà avuto tredici figli – tutti morti tranne due, che sono rimasti con me nell’ospizio – non vedrà le cose allo stesso modo, che Dio la benedica! Pensa soltanto a cosa significa essere madre, agnellino mio!».
Ma evidentemente questa consolante prospettiva sul suo futuro di madre non produsse l’effetto sperato. L’inferma scosse la testa e protese la mano verso il bambino.
Il medico glielo pose in braccio. Appassionatamente, lei impresse le sue labbra fredde e bianche sulla fronte della creatura, si passò le mani sul volto, girò intorno uno sguardo angosciato, rabbrividì, ricadde giù e mori. Le massaggiarono il petto, le mani e le tempie; ma il suo sangue aveva cessato di fluire per sempre. Le mormorarono parole di consolazione e speranza, ma troppo a lungo le erano rimaste estranee.
«Non c’è più niente da fare, signora Thingummy!», disse infine il medico.
«Ah, povera cara. Non c’è più niente da fare!», assentì la vecchia infermiera, raccogliendo il tappo della bottiglia verde che le era caduto sul cuscino quando s’era chinata per riprendere il bambino. «Povero piccino!».
«Non c’è bisogno che mi mandiate a chiamare se il bambino strilla, infermiera», disse il medico infilandosi con cura i guanti. «Darà un bel po’ di fastidi, con tutta probabilità. In tal caso, dategli un po’ di farinata». Indossò il cappello, e fermatosi accanto al letto mentre si avviava alla porta aggiunse: «Era anche una bella ragazza! Da dove veniva?»
«L’hanno portata qui la notte passata per ordine del sorvegliante», rispose la vecchia. «È stata trovata stesa per strada. Doveva aver camminato parecchio, dato che le sue scarpe erano tutte rotte e logore, ma da dove veniva o dove andava, nessuno lo sa».
Il medico si chinò sul corpo e sollevò il braccio sinistro. «La vecchia storia», disse scuotendo la testa: «niente fede al dito, a quanto vedo. Ah! Buona notte!».
Il signor dottore se ne andò alla sua cena, e la vecchia, tirato qualche altro sorso dalla bottiglia verde, sedette su una seggiolina accanto al fuoco e procedette alla vestizione del bimbo.
E che stupendo esempio della potenza dell’abito era il piccolo Oliver Twist! Avvolto nella coperta che fino ad allora aveva costituito il suo unico indumento, sarebbe potuto essere tanto il figlio di signori altolocati quanto di pezzenti, e anche il più arrogante, vedendolo per la prima volta, avrebbe avuto difficoltà ad attribuirgli un posto nella società. Ma ora, avvolto in una tela di cotone leggero, diventata gialla per quell’uso ripetuto, egli era etichettato e marchiato, ed era immediatamente collocato al suo posto: un poverello in carico alla parrocchia, un orfano per l’ospizio – l’umile e denutrito essere da fatica – spinto nel mondo a suon di ceffoni e sberle, da tutti disprezzato e da nessuno compatito.
Oliver strillava a pieni polmoni. E se avesse saputo di essere un orfano, lasciato alle tenere cure dei custodi e dei sorveglianti della parrocchia, avrebbe forse strillato ancor più forte.

Oliver Twist è stato utilizzato come soggetto per molti adattamenti cinematografici e televisivi.
Tra i più celebri per il grande schermo sono :

Le avventure di Oliver Twist di David Lean del 1948
Oliver! di Carol Reed del 1968 (vincitore di ben 5 premi Oscar)
Oliver Twist di Tony Bill del 1997
Oliver di Roman Polański del 2005

Nel 1988 la Walt Disney Pictures ha realizzato un film di animazione ispirato al romanzo, Oliver & Company
Il romanzo ha inoltre fornito lo spunto per un musical inglese di grande successo, Oliver

Charles Dickens
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