Un mare di persone è sceso in piazza. Nonostante tutto. Nonostante la criminalizzazione delle piazze, nonostante il clima di repressione che respiriamo in Italia, nonostante una propaganda che da mesi cerca di convincerci che chi manifesta è un nemico, mentre chi bombarda ha sempre ragione.
L’Italia in piazza per Gaza. Ottantuno città hanno risposto, insieme, allo sciopero generale per la Palestina. Le piazze erano piene, bellissime, donne e uomini che hanno deciso di dire una cosa semplice: no, non vogliamo essere complici.
È stata una manifestazione di coscienza, di empatia, di vicinanza concreta ai bambini palestinesi. Un gesto per rompere la solitudine, per non restare schiacciati da quel senso di impotenza che in tanti ripetono: “tanto non serve a nulla”. Non è vero. Serve eccome. Serve a costruire una coscienza collettiva e le coscienze collettive, nella storia, hanno sempre saputo cambiare le cose.
Serve a noi stessi, per ritrovare fiducia, dignità, il senso di appartenenza. E serve perché questa massa critica continuerà a crescere, a incontrarsi, a costruire un’intelligenza collettiva capace di smascherare i crimini del potere.
Non sapremo mai con precisione quanti erano. I numeri oscillano: 30.000 a Napoli, 50.000 a Roma, centinaia di migliaia in tutto il Paese, forse milioni se si considerano anche i piccoli centri. Ma, come spesso accade, l’attenzione mediatica si è concentrata altrove: sugli scontri di Milano.
Milano, l’assist perfetto
Cento teppisti hanno regalato al governo e a una parte della stampa l’alibi perfetto: trasformare un movimento vasto e partecipato in una manciata di immagini di devastazione. È una trappola comunicativa ben nota. Milano non è il simbolo di ciò che è avvenuto. La violenza va sempre condannata, senza esitazione. Ma usare la violenza di pochi per delegittimare milioni di cittadini pacifici significa imboccare la scorciatoia più comoda, quella di chi preferisce mettere a tacere, piuttosto che ascoltare.
Il governo ha scelto
Meloni, Salvini, La Russa si sono limitati a commentare i fatti di Milano, mentre di fronte a manifestazioni oceaniche, non una parola.
È il segno di una distanza enorme tra la classe dirigente e i cittadini. Certo, esistono cittadini che ormai hanno perso fiducia, che pensano che tutto sia inutile. Ma la domanda resta: perché parlare solo di Milano e non delle decine di piazze che hanno manifestato in modo civile e dignitoso?
Una politica degna di questo nome dovrebbe saper distinguere, dovrebbe ascoltare, riconoscere, comprendere. Invece la corsa è stata un’altra, pubblicare subito, mentre gli scontri erano ancora in corso, post e dichiarazioni che riducono tutto a un episodio di violenza. Una politica che fa questo non costruisce nulla, alimenta solo distanza, sfiducia, solitudine.
Meloni, Tajani, Salvini voi siete il governo, non rappresentate solo il vostro elettorato, rappresentate l’intera nazione. In teoria dovreste farlo, almeno. Possibile che non vi rendiate conto? Possibile che continuiate a non capire che ciò che è accaduto oggi non è la piazza di Milano, che lo ripeto, non è rappresentativa, ma un grande movimento popolare che chiede di essere ascoltato?
Una popolazione che chiede risposte
Quelle persone sono scese in strada perché vogliono risposte, perché non condividono le vostre scelte. Non parliamo di una minoranza, ma di un’enorme fetta di popolazione italiana che rifiuta il vostro sostegno incondizionato a Israele e la vostra indifferenza verso Gaza.
E invece di riconoscere questo, vi siete concentrati solo ad additare il “mostro”. Invece di spegnere i focolai di tensione, li alimentate, invece di ricucire le fratture, ci gettate sopra benzina. Una politica davvero responsabile dovrebbe cercare di calmare, di comprendere, di mediare. Voi, invece, continuate a esasperare il conflitto, aggravando una spaccatura sociale che rischia di diventare sempre più profonda.
Informazione asservita e propaganda
Alle testate giornalistiche più vicine al governo, Meloni ha già promesso che non riconoscerà lo Stato di Palestina all’ONU. Noi assistiamo a tutto questo, assistiamo alle bugie continue, a dichiarazioni che vengono smentite pochi giorni dopo. Ci dicono che le armi non sono più state inviate a Israele, e scopriamo che non è vero. Ci assicurano di lavorare per una soluzione a due stati, e poi si rifiutano persino di chiamare la Palestina “Stato”, come se essa non esistesse.
Assistiamo anche a un’informazione italiana largamente asservita: La Rai, Rete4, Mediaset, gran parte della stampa nazionale sembrano completamente allineati al governo, eppure ci viene presentata la loro voce come “soffocata”, come se non potessero parlare. Non mi pare che questi giornalisti siano messi nella condizione di non poter parlare. Contemporaneamente, siamo costretti a sentire commentatori come Mario Sechi, Capezzone, Porro o Parenzo negare sistematicamente fatti evidenti: genocidio, fame, sofferenza. E tutto diventa un gioco di parole, di accuse minime, mentre la realtà resta intatta e cruda.
È una narrazione costruita per confondere, distrarre e giustificare l’indifendibile, dobbiamo assistere a gente che in televisione ti dice “definisci il bambino”, però il problema è “Stronzo”.
Un governo cieco di fronte alla realtà
La vera problematica è che questo governo non si accorge minimamente di una popolazione profondamente indignata, schifata, che non sopporta più le scelte politiche dell’Italia nei confronti di Israele. E invece di confrontarsi con questa realtà, di trovare risposte a chi è insoddisfatto, si limita a voltarsi dall’altra parte. Se siamo ancora una democrazia degna di questo nome, questo dovrebbe essere il primo dovere del governo.
Oggi, mentre a Londra viene inaugurata l’ambasciata palestinese, un gesto simbolico, certo, e forse tardivo, ma comunque significativo, noi restiamo immobili. Altri Paesi, pur tra mille limiti, iniziano a muoversi, a dare segnali di attenzione, a imporsi almeno simbolicamente contro l’ingiustizia. Noi italiani nemmeno questo.
Anzi parliamo di Pastarelle. Dopo quasi un anno di silenzio stampa e in un periodo critico come il nostro, Giorgia Meloni si fa intervistare sulle pastarelle della domenica. Davanti alle immagini di bambini che soffrono e sono morti di fame, con tanto di tavola imbandita, andiamo a parlare della buonissima cucina italiana che deve patriotticamente difendere il suo posto nel mondo. Parliamo dei diplomatici, sì, concordo parliamone, ma non dei dolci.
La lezione delle piazze
Loro prendono tempo, aspettano che la soluzione dei due popoli e dei due stati si risolva da sola. Forse pensano che si risolverà quando non ci saranno più palestinesi? È un’operazione chiara, nascondere la polvere sotto il tappeto e fingere che il problema non esista.
Ricordiamoci che siamo membri dell’ONU, che dovremmo rispettare la Corte Penale Internazionale, e invece, come “patrioti” a senso unico, ci ritroviamo a fare gli esecutori dei voleri di Israele e Stati Uniti. Ma questo non rappresenta la maggioranza del Paese, anche chi non ha partecipato attivamente alle manifestazioni è profondamente in disaccordo con le scelte del governo.
E qui sta la vera lezione, le centinaia di migliaia di persone che hanno detto “io non ci sto”, senza violenza, senza torcere un capello, rappresentano una parte bellissima del Paese. I social possono martellare con la loro propaganda, costruire narrative deviate, di violenza e terrorismo nei nostri confronti, ma la realtà è un’altra. Esistono cittadini consapevoli, critici, pronti a condannare le azioni sbagliate, anche quando vengono da quelli che sventolano le nostre stesse bandiere. Questa è la vera forza di una democrazia, non chi urla di più o chi appare più violento, ma chi, con coraggio e dignità, dice no alle ingiustizie, senza paura.
Una giornata commovente
Oggi si è parlato soprattutto di ciò che non ha funzionato. Ma c’è molto di cui essere orgogliosi. È stata una giornata straordinaria di mobilitazione, che ha raccolto anche grande solidarietà e la solidarietà, in momenti come questi, è ciò che ci fa sentire vivi.
Voglio ringraziare il coraggio di migliaia di ragazzi, lavoratori, insegnanti, persone di tutte le età, che con la loro presenza hanno trasmesso vitalità a una democrazia sempre più malata.
Personalmente, mi sono commossa. Mi sono sentita meno sola. E ho visto che, anche in tempi difficili, c’è chi continua a credere nel valore della partecipazione, della dignità e del rispetto reciproco.
L’Italia che scende in piazza esiste, resiste, e non ha intenzione di arrendersi.