Tutto è qui per te è il un romanzo di Fabio Volo, pubblicato il 14 novembre 2023, da Mondadori. Un libro sulla linea d’ombra che ciascuno di noi si trova a superare alle età più differenti e inaspettate. Sulla voglia di mettersi in gioco davvero, di predisporsi ad accogliere l’amore anziché rincorrerlo ovunque. Sul valore che può avere anche la solitudine. Sul desiderio, e la possibilità, di un nuovo inizio.
“Come spesso accade, le cose che all’inizio ci piacciono e ci attraggono dell’altro sono le stesse che poi odiamo e ci allontanano.”
Trama
Luca è bravissimo nelle sorprese, ha il talento di rendere speciale ogni momento, anche le pause pranzo. È un uomo molto indipendente, però non gli piace stare da solo.
Ha una storia importante alle spalle, finita non ha capito bene come (“quand’è che le cose belle poi diventano brutte?”). Esce con una ragazza che ha la metà dei suoi anni e un po’ se ne vergogna, ma lei è come una boccata d’aria fresca. Sua madre invece dispone di lui come se non fosse mai diventato un adulto e non perde occasione per farlo sentire sbagliato, in debito.
Un giorno, per caso, incontra Lucia, la sua fidanzata di quando aveva vent’anni. Il loro era stato un amore da film, assieme avevano vissuto tutte le prime volte. Adesso lei ha una figlia e si sta separando dal marito. E se provassero a tornare al punto dove si erano fermati, vedere cosa è rimasto di quei due?
“Sei la cosa sbagliata di cui avevo bisogno”
Incipit di “Tutto è qui per te”
Intro
«Sei già a Parigi?»
«Sono arrivato ieri.»
«Piove?»
«Non ancora.» Ho guardato fuori dalla finestra, il cielo era punteggiato di nuvole. «Questa mattina mentre mi facevo la barba ho capito una cosa.»
Aspettava che continuassi.
«Ho capito che in questi anni mi sei mancata. Mi sei mancata come persona, nella vita. Sai quante cazzate in meno avrei fatto?»
Ha riso. «È per questo che mi hai chiamata?»
«Il motivo è un altro. Domani mattina troverai un’auto sotto casa con un biglietto aereo per raggiungermi. Non devi pensare a niente, ho già pensato a tutto io.»
«Tu sei pazzo.»1
È stato Francesco a farmi conoscere Beatrice.
Quando lo incontri, Francesco fa subito simpatia, sarà la confusione dei suoi capelli ricci o la barba incolta, che mette in risalto i denti bianchi.
Indossa sempre camicie a quadri, jeans col risvolto, il portafogli legato al passante dei pantaloni con una catenella che va a sparire dentro la tasca. Scarpe rigorosamente in cuoio, non l’ho mai visto con un paio di sneakers.
Piemontese, vive a Milano dai tempi dell’università. Francesco non è un ragazzo che parla, per lo più ascolta, e ascolta davvero, con interesse reale. Si informa, studia manuali, saggi, compra riviste, sente podcast internazionali. Legge libri di cui non capisco nemmeno l’introduzione. Da ragazzino ha smontato un computer per capire come fosse assemblato.
Nonostante questo, non fa mai pesare quello che sa, riesce a mantenere una sana ironia e leggerezza. Soprattutto, ama il vino.
Ci siamo conosciuti qualche anno fa, e abbiamo raggiunto un rapporto di confidenza tale che è come se fossimo amici da sempre.
Quando ci siamo incontrati lavorava come ingegnere in una grossa società del settore energetico. Era stanco, aveva voglia di un cambiamento, soprattutto di provare a realizzare un sogno che aveva da tempo: aprire un’enoteca.
Il nonno aveva delle vigne di Nebbiolo, lui l’aveva seguito sin da bambino e aveva imparato presto come si faceva il vino, conosceva tutto il processo, dalla coltivazione alla vendemmia, fino all’imbottigliamento. L’enoteca per lui era la chiusura di un cerchio.
Una sera, quando ancora non lo conoscevo, aveva raccontato questo suo desiderio a Sergio, un amico comune, e Sergio, sapendo che mi occupo di import-export di vini dalla Francia, aveva organizzato un incontro.
Gli avevo dato appuntamento per cena in un ristorante dove avevano ottime bottiglie. Quando è arrivata la carta, ho lasciato scegliere a lui, il vino che scegli dice molto di te. Francesco ha ordinato un Ghemme da uve Nebbiolo, famoso per essere il vino degli Sforza. I grappoli guadano il ghiacciaio del monte Rosa e le radici affondano nei suoli vulcanici. Un vino di fuoco e ghiaccio, un vino austero che ha bisogno di tempo per aprirsi e rivelare la sua essenza.
Le parole nel raccontarmi i suoi disegni, nel mostrarmi la sistemazione dei tavoli, del bancone, la grafica dei menu, erano piene di un’energia e una cura che non vedevo da anni. Aveva abbozzato un logo dell’enoteca con il nome, aveva pensato a ogni cosa.
Sentire la sua storia mi restituiva un senso di bello, di giusto, di poetico, una forza che tende al bene. Era contagioso.