Le madri non dormono mai è un romanzo di Lorenzo Marone, pubblicato il 10 maggio 2022, da Einaudi. Un bambino, sua madre. Due vite fragili tra altre vite fragili: donne e uomini che passano sulla terra troppo leggeri per lasciare traccia. Intorno, a contenerle, un luogo che non dovrebbe esistere, eppure per qualcuno è perfino meglio di casa.
“… ne aveva incontrate, di donne uguali a lei, mute, anzi, mutilate, corpi vuoti, anime silenti e rabbiose, che per poco amore ricevuto s’erano fatte aride, dure come la scorza del pane vecchio, in loro non c’era traccia d’ammirazione per sé, erano indifferenti a ciò che conta, quasi l’esistenza loro e dei figli fosse una delle tante cose sulle quali non si ha potere.”
Sinossi
Diego ha nove anni ed è un animale senza artigli, troppo buono per il quartiere di Napoli in cui è cresciuto. I suoi coetanei lo hanno sempre preso in giro perché ha i piedi piatti, gli occhiali, la pancia. Ma adesso la cosa non ha più importanza. Sua madre, Miriam, è stata arrestata e mandata assieme a lui in un Icam, un istituto a custodia attenuata per detenute madri. Lì, in modo imprevedibile, il ragazzino acquista sicurezza in sé stesso. Si fa degli amici; trova una sorella nella dolce Melina, che trascorre il tempo riportando su un quaderno le «parole belle»; guardie e volontari gli vogliono bene; migliora addirittura il proprio aspetto. Anche l’indomabile Miriam si accorge con commozione dei cambiamenti del figlio e, trascinata dal suo entusiasmo, si apre a lui e all’umanità sconfitta che la circonda. Diego, però, non ha l’età per rimanere a lungo nell’Icam, deve tornare fuori. E nel quartiere essere più forte, più pronto, potrebbe non bastare.
«Miriam tornò ai suoi panni, e tolse l’aria dai polmoni con uno sbuffo. Il sole mattutino s’affaccendava a portare un po’ di calore, permetteva ai bambini di restare fuori a giocare, ma proiettava l’ombra delle sbarre sulla parete alla sua destra, sezionava il muro come fosse una scacchiera. S’appese alle spranghe e allungò l’esile collo, come a voler uscire da lì, lei così minuta, e si ritrovò sulle punte senza volerlo, da dietro pareva un puma pronto a spiccare il balzo. Pensò di andarsi a riprendere quel figlio cretino che a quasi dieci anni si lasciava sfottere da una mocciosetta e manco lo capiva. Invece vide qualcosa d’inaspettato, vide la bambina ridere ancora per le parole del suo Diego, e però subito dopo vide anche il viso di lui aprirsi in un gioioso sorriso, e poi in una fragorosa risata che liberò farfalle, una risata per lungo tempo attesa, che le tolse l’ombra dalla faccia e la spinse a donare al cielo, alle nuvole dense che soffocavano quel carcere tra i monti, un moto appena percettibile di labbra».
Una narrazione struggente e profonda, un cantico degli ultimi che si interroga, e ci interroga, su cosa significhi davvero essere liberi o prigionieri. La storia viene raccontata attraverso i vari personaggi, tutti approfonditi e ognuno con luce e demoni, travestiti da normalità come ognuno di noi. E’ questo travestimento la nostra prigione, la nostra illusione di esseri liberi. Cos’è la libertà, si può essere più liberi rinchiusi in una prigione? La scrittura di Marone è sempre fluida e ricercata, che scava nelle persone, nelle cose.
Il romanzo porta in superficie la situazione, estremamente difficile e problematica, dei bambini che vivono in carcere insieme alle loro madri. Questi bambini possono essere esposti a molteplici rischi per la loro salute fisica e mentale, oltre a vivere in condizioni di estrema povertà e deprivazione. Vivere in un ambiente carcerario può essere molto stressante e traumatizzante per i bambini, che spesso vengono da realtà di violenza, abuso e trascuratezza. Inoltre, la loro educazione e il loro sviluppo possono essere seriamente compromessi, a causa della mancanza di accesso alle risorse educative e culturali.
Racconta della sofferenza delle madri che vivono in carcere insieme ai loro bambini, loro sanno che la prigione è un ambiente duro e traumatico e spesso sperimentano un senso di colpa per aver portato i propri figli in quel contesto, spesso devono affrontare sfide uniche legate alla cura dei loro bambini, come la mancanza di spazio per giochi e attività, molte madri in carcere cercano di fornire ai loro figli un ambiente di sostegno e affetto nonostante le difficoltà. Perché “le madri non dormono mai”.
E poi c’è la sofferenza di quelle madri che devono affrontare la separazione dai loro figli quando raggiugono l’età che la legge ha imposto per l’allontanamento, e l’angoscia di non sapere come il proprio figlio affronterà le avversità della vita, soprattutto di certe vite in ambienti pericolosi, ed ancora l’impotenza di non poter far nulla per proteggerli. E poi c’è il cuore e lo sguardo di quei bambini che vengono allontanati dalle loro madri e da tutto quello che conoscono, spesso catapultati in realtà difficili, bambini che devo crescere in fretta.
Quante figure ruotano intorno a queste realtà, come le guardie carcerarie, da quelle più ciniche a quelle più sensibili che si vedono passare questi cuoricini cercando di non affezionarsi troppo. Gli psicologi che ogni giorno devono trovare la forza di affrontare situazioni difficili.
La sofferenza delle madri che vivono in carcere con i loro bambini sottolinea l’importanza di sviluppare politiche e programmi che promuovano l’interesse superiore del bambino e proteggano i diritti delle madri detenute e dei loro figli. Alcune prigioni offrono programmi e servizi specifici, come supporto psicologico e programmi di educazione parentale. Inoltre, ci sono organizzazioni che lavorano per proteggere i diritti dei bambini che vivono in carcere per migliorare le condizioni di vita, ma ancora tanto c’è da fare, soprattutto nella prevenzione.
Un romanzo che ti lascia davvero tanto, ti arricchisce, che dovrebbe essere letto da tutti e soprattutto in certi contesti.
E per te qual è la parola più bella?
La recensioni generali sono più che positive, in questo romanzo anche altri lettori hanno ritrovato la sensibilità che caratterizza l’autore, confermando che Marone è una garanzia. Ho intrapreso questa lettura grazie anche alle recensioni di La Libridinosa e di Due lettrici quasi perfette.
Citazioni di “Le madri non dormono mai “
“Il suo organo piú importante per stare al mondo aveva imparato a farsi prepotente, a prendersi tutta l’aria possibile. A Diego lasciava gli avanzi, poche parole biascicate da regalare al prossimo.”
“pochi hanno la fortuna d’abitare uno spazio comodo, nel quale si trovano davvero a proprio agio; la maggior parte degli individui sta nella vita fuori contesto, s’adopera per la messinscena continua della propria esistenza sbagliata, nella quale incontra le persone sbagliate, e s’impone di farsele piacere, come s’arrangia a farsi piacere le cose, e se non ci riesce, s’impunta a cambiarle, le persone e le cose, e si mette d’impegno ad abbellire il suo falso contesto. E non s’accorge, se non alla fine, d’essere caduta nell’errore peggiore, d’aver peccato d’indolenza, che con un poco di coraggio in piú avrebbe potuto riconoscere il suo reale spazio, il contesto giusto, senza dover stare a battagliare pur d’innamorarsi d’una vita che mai invece avrebbe potuto amare.”
“Quando Diego la vide, le mostrò la lucertola, che si reggeva esitante alle pareti di carta: non c’entrava tutta quanta, lí dentro, e pareva timida e dolce, ma nello sguardo incredula. Chissà cosa pensava degli umani, che sanno dell’esistenza tutto e niente, forse di piú, forse di meno d’ogni altro essere, e s’azzardano a riderci su. Cosa dei bambini, che s’arrischiano a credere che la morte non faccia differenza, che non sia una vera fine, e che per tale motivo non ne hanno paura né rispetto.”
“Era cosí, Diego, sentiva il doppio degli altri, l’anima gli vibrava al minimo soffio, studiava chi aveva vicino, faceva caso a tutto, captava i segnali e capiva i punti deboli; s’accorgeva delle mancanze della gente, riconosceva la paura e il turbamento, e bastava uno sguardo a ferirlo, una mezza parola a disturbarlo, viveva in punta di piedi per paura d’offendere, o d’essere offeso. Sapeva del male per eccessiva sensibilità, e s’impegnava per questo a non farlo agli altri, e vivere era per lui una gran fatica, lui che non sapeva quanto durino poco gli animi incapaci di sottrarsi al dolore.”
Incipit di “Le madri non dormono mai “
Diego
Al camion rosso mancava una ruota posteriore, cosí di camminare non era piú capace, arrancava zoppo, ricordava un vecchio che non ha fretta di andare; nonostante ciò, restava comunque un camion speciale, in grado di tratteggiare straordinarie piroette nell’aria, parabole senza senso, anche pericolosi giri della morte, come un caccia dell’aeronautica che dà spettacolo. Il piccolo Diego accompagnava le sue traiettorie con rumorosi versi che imitavano il motore, lo portava sempre con sé, nello zaino o nella tasca del giubbino, e da lui mai si separava; gliel’aveva regalato il padre una mattina d’inverno, sotto il cavalcavia del rione s’era chinato davanti al suo viso e gli aveva ammiccato mentre tirava fuori il modellino, e poi gli aveva giurato che presto l’avrebbe portato su un camion vero, di quelli che guidava lui.Ma non era accaduto, perché pochi giorni dopo l’avevano arrestato.
A nove anni Diego sapeva tutto di autocarri e poco di suo padre, che in casa non c’era stato mai. E cosí gli era parso che ad amare i camion, e a tenerseli vicino, gli riuscisse in qualche modo di tenersi vicino pure il papà, che una parola d’amore non gliel’aveva saputa dare, ma che da piccolo lo portava sulle spalle, e da lassú a Diego sembrava che la vita fosse una giostra colorata che non s’arresta. Con lo scalcinato camion tra le mani sentiva d’essere ancora a cavalcioni del padre, e s’immaginava con lui, in giro a consegnare le merci, s’intestardiva a credere che quella promessa prima o poi sarebbe stata mantenuta.
Si accovacciò sui talloni e inventò per il suo modellino un atterraggio d’emergenza, le ruote del piccolo tir scricchiolarono sull’asfalto e lui seppe riprodurre con la bocca un suono verosimile. Sbuffi caldi del suo alito si persero nell’aria. Dietro gli giungevano le urla allegre dei bambini impegnati a giocare; Diego non poté non voltarsi, seppur per un istante, e sullo scivolo ne vide alcuni che s’arrampicavano al contrario, e chiamavano le madri a gran voce per farsi ammirare. L’altalena invece la occupava una bambina che rideva d’ogni cosa, e con le gambe si spingeva sempre piú forte nell’aria. Diego allungò il collo per guardare l’entrata del cortile, poi tornò al camion, mise anche le ginocchia a terra e sentí il pietrisco pungergli la pelle. Un bambino l’avvicinò, ma lui non disse nulla, a stare con gli altri non era abituato, negli altri Diego riponeva poca fiducia. Costrinse invece il suo piccolo camion a una curva a gomito, si rannicchiò e la testa la poggiò quasi sul selciato, mise il corpo a protezione del gioco, di quel momento solo suo nel quale a nessuno era permesso entrare. Perciò all’altro bambino non restò che andare via. Solo allora Diego sollevò il busto e di sbieco sbirciò quello che s’allontanava correndo, e per un attimo gli venne voglia di richiamarlo. Con il camion in mano si perse di nuovo a fissare l’ingresso, attendeva che sua madre Miriam tornasse a prenderlo.
I bambini s’erano ammucchiati ora tutti dentro una piccola casetta di plastica rossa con il tetto e le finestre blu, litigavano per chi doveva entrare e uscire. Le madri parlottavano a qualche metro, stavano strette nei loro scialli, per difendersi dal freddo pungente, e parevano non avere curiosità né dei figli né di lui. Il chiacchiericcio allegro dello spiazzo si dissipava nel cielo d’un azzurro intenso, un azzurro che Diego non credeva d’aver visto mai in città. A provarci, avrebbe potuto pure pensare che fosse una giornata bella, e che davanti ce ne sarebbero state tante altre. Capitava spesso negli ultimi tempi che la tristezza scendesse improvvisa sulle cose, a rubarsi il sorriso della mamma e il buonumore suo, allora in quelle occasioni lui strizzava gli occhi e provava a immaginarsi lontano, sul camion del babbo, a percorrere con lui una strada dritta in un giorno di festa, il vento d’estate che entrava dai finestrini, e suo padre allegro che mordeva un panino alla mortadella tenendo il grosso volante con una sola mano.
Provò a dirsi che sotto un cielo cosí le cose brutte semplicemente non possono accadere. Strizzò gli occhi e sperò di rivedere sua madre, che l’avrebbe portato via, a casa forse, o in un posto nuovo, dove ricominciare.
La magia non funzionò. Quando riaprí le palpebre, le risate e il vocio attorno a lui erano quelli di prima, e Miriam ancora non c’era. Alla finestra di una cella, però, una bimba nera di capelli lo fissava muta, il visino incastrato tra le sbarre.
Diego distolse lo sguardo e ricominciò a roteare il camion nell’aria leggera.