“Canto di Natale” di Charles Dickens non è solo un racconto, ma una finestra aperta sullo spirito del Natale, un viaggio nel tempo che attraversa generazioni e rimane capace di affascinare lettori di ogni età. È quel tipo di storia che non invecchia mai, come se ogni pagina fosse intrisa di un calore che accoglie e consola.
Conosciuto anche come Cantico di Natale, Ballata di Natale o Racconto di Natale, questo breve romanzo pubblicato per la prima volta nel 1843 è il cuore di una raccolta più ampia, I libri di Natale. Insieme a lui, troviamo Le campane, Il grillo del focolare, La battaglia della vita e Il patto col fantasma, tutte storie che, in modo diverso, parlano di redenzione, speranza e rinascita.
Quando uscì, l’opera fu un piccolo capolavoro editoriale: Chapman and Hall lo pubblicò in un’elegante edizione di velluto rosso, con bordi dorati e le illustrazioni del vignettista John Leech, un’artista che non aveva paura di sfidare le convenzioni del suo tempo. Il successo fu immediato: il 24 dicembre 1843, a pochi giorni dall’uscita, il libro aveva già venduto 6.000 copie, nonostante il prezzo elevato. Un trionfo, una di quelle magie che solo la combinazione di talento e sentimento può creare.
È come se Dickens, con la sua penna, avesse saputo catturare l’essenza del Natale e chiuderla tra le pagine di questo racconto. Perché, alla fine, Canto di Natale non è solo una storia: è una promessa di luce, anche nel cuore dell’inverno più buio.
“Onorerò il Natale nel mio cuore, e cercherò di conservarmi in questo stato d’ animo per tutto l’anno. Vivrò nel passato, nel presente e nel futuro, e i tre spiriti saranno sempre presenti in me. Oh dimmi che posso far scomparire l’iscrizione di quella pietra!”
Non è solo un classico, ma un racconto che attraversa i secoli, sempre attuale, capace di parlare a tutte le generazioni. È la storia natalizia per eccellenza, ma al contempo una delle voci più potenti di Charles Dickens contro le ingiustizie sociali del suo tempo. Nel cuore del suo racconto si intrecciano elementi gotici, che creano un’atmosfera misteriosa e inquietante, con un impegno concreto e diretto nella denuncia delle miserie sociali: la povertà, lo sfruttamento minorile e l’analfabetismo.
Scrooge, l’irriverente protagonista, è il simbolo di una società che aveva perso di vista il valore della solidarietà e della compassione. Il suo risveglio, il suo cambiamento, non è solo un’opportunità di redenzione personale, ma una chiamata a riflettere sulla responsabilità collettiva. Dickens, con il suo stile tagliente, non esita a mettere sotto accusa un sistema che marginalizza i più deboli e che non riconosce il diritto all’educazione, alla dignità e alla speranza.
In un’epoca segnata dalle disparità sociali, la storia di Canto di Natale diventa un appello senza tempo: non è solo il Natale che si celebra, ma una visione più alta di umanità, che trova nella compassione e nella giustizia sociale la sua vera essenza.
La trama del “Canto di natale”
La storia si snoda in cinque capitoli, ognuno dei quali svela la vicenda di Jacob Marley, morto sette anni prima in una notte di Natale. Marley era il socio di Ebenezer Scrooge, un uomo burbero, egoista e asociale, che trascorre la sua vita a contare monete e a ignorare il mondo che lo circonda. Il suo unico compagno di lavoro è Bob Cratchit, un uomo piccolo e fragile, che si piega sotto il peso della sua esistenza umile.
Ogni anno, alla vigilia di Natale, il nipote di Scrooge va a trovare lo zio, per augurargli il buone feste e invitarlo a casa. Ma il vecchio Scrooge, con il suo cuore di ghiaccio, rifiuta sempre, ridicolizzando l’idea di celebrare un giorno tanto inutile. “Il Natale è solo un giorno come un altro”, dice, “peggio ancora, perché non porta affari”. Il nipote, però, non si arrende e gli risponde con convinzione che il Natale è il giorno in cui si riscoprono le virtù più nobili dell’uomo: la bontà, il perdono, l’aiuto reciproco.
Eppure, quella notte, sarà il Natale stesso a bussare alla porta di Scrooge. Il suo vecchio socio, Jacob Marley, apparirà come un fantasma terribile, incatenato e avvolto nei rimorsi. Ma Marley non è solo: tre spiriti lo accompagneranno in un viaggio che attraverserà il Natale del passato, del presente e del futuro. Un cammino che costringerà Scrooge a confrontarsi con la realtà di ciò che è diventato: un uomo avaro, solo e odiato da tutti, che ama più il denaro della vita stessa.
Riuscirà il miracolo del Natale a sciogliere il cuore di Scrooge, a ridargli speranza, a fargli riscoprire l’importanza di un gesto gentile, di un sorriso, di un abbraccio? Il suo viaggio tra le ombre e le luci del Natale ci mostra che, forse, anche un cuore di pietra può ancora battere se il destino gliene dà l’occasione.
“Si vestì dei suoi abiti migliori, e finalmente uscì in strada. In questo momento la gente stava uscendo dalle case, così come egli l’aveva vista in compagnia dello Spettro del Natale Presente. E Scrooge, camminando con le mani dietro la schiena, guardava tutti quanti con un sorriso compiaciuto. Per dirla in breve, aveva l’aria così irresistibilmente piacevole che tre o quattro tipi di buon umore dissero “buon giorno, signore, buon Natale”, e Scrooge disse spesso, più tardi, che di tutti i suoni gioiosi che egli aveva mai udito, quelli al suo orecchio erano stati i più gioiosi.”
“Il Canto di Natale” è un racconto che ha varcato i confini della letteratura, facendo il salto nel cinema e nel teatro, diventando un’icona che ancora oggi, a distanza di più di un secolo, continua a incantare. Lo riconosciamo nelle vesti di “Il Canto di Natale di Topolino” firmato Walt Disney, nel capolavoro di Frank Capra, “La vita è meravigliosa”, o nel moderno “S.O.S. fantasmi” (Scrooged), dove un Bill Murray travestito da grinch dell’era contemporanea ci ricorda il valore della redenzione. Ma l’eco del racconto si sente anche nei teatri di ogni angolo del mondo, dove, da grandi compagnie o in piccoli centri, scuole e comunità sanitarie mettono in scena ogni anno la stessa storia che non smette mai di commuovere.
Un classico che non invecchia, capace di toccare il cuore, di trasmettere l’importanza di compassione e speranza, anche quando tutto sembra perduto. Il messaggio è universale: anche nei periodi più bui, la possibilità di riscatto è sempre lì, nascosta dietro un angolo, pronta a sorprenderci.
A Natale, per me, è un appuntamento immancabile. Non mi stancherò mai di leggerlo: è uno di quei libri che ti fa compagnia, che ti fa sentire meno solo. E lo consiglio con il cuore, a chiunque, di ogni età. Regalarlo è un gesto che conserva sempre il suo valore, un dono che continua a parlare nel tempo.
Incipit del “Canto di natale”
Strofa prima. Lo spettro di Marley
Marley era morto, tanto per incominciare, e su questo non c’è alcun dubbio. Il registro della sua sepoltura era stato firmato dal sacerdote, dal chierico, dall’impresario delle pompe funebri e da colui che conduceva il funerale. Scrooge lo aveva firmato, e alla Borsa il nome di Scrooge era buono per qualsiasi cosa che decidesse di firmare. Il vecchio Marley era morto come il chiodo di una porta.
Badate bene che con questo io non intendo dire che so di mia propria scienza che cosa ci sia di particolarmente morto nel chiodo di una porta; personalmente, anzi, propenderei piuttosto a considerare il chiodo in una bara come il pezzo di ferraglia più morto che si possa trovare in commercio. Ma in quella similitudine c’è la saggezza dei nostri antenati, e le mie mani inesperte non la disturberanno, altrimenti il paese andrà in rovina. Vogliate pertanto permettermi di ripetere con la massima enfasi che Marley era morto come il chiodo di una porta.
Scrooge sapeva che era morto? Senza dubbio; come avrebbe potuto essere altrimenti? Scrooge e lui erano stati soci per non so quanti anni; Scrooge era il suo unico esecutore testamentario, il suo unico procuratore, il suo unico amministratore, il suo unico erede, il suo unico amico e l’unico che ne portasse il lutto; e neanche Scrooge era così terribilmente sconvolto da quel doloroso avvenimento da non rimanere un eccellente uomo di affari anche nel giorno stesso del funerale e da non averlo solennizzato con un affare inatteso e particolarmente buono.
Menzionare il funerale di Marley mi ha ricondotto al punto dal quale ero partito. Non c’è alcun dubbio che Marley era morto. Questo dev’essere perfettamente chiaro; altrimenti nulla di meraviglioso potrà uscire dalla storia che sto per narrare. Se non fossimo perfettamente convinti che il padre di Amleto era morto prima che cominciasse la tragedia, nel fatto che egli passeggiasse di notte, al vento di levante, sui bastioni del proprio castello non ci sarebbe niente di più notevole di quello che ci sarebbe se qualunque altro signore di mezza età uscisse all’improvviso, dopo il tramonto, in una località battuta dal vento – diciamo, per esempio, nel cimitero di St. Paul – per impressionare la mente debole di suo figlio.
Scrooge non aveva mai cancellato il nome del vecchio Marley. Anche dopo qualche anno si poteva leggerlo sopra la porta del magazzino: Scrooge e Marley. La ditta era conosciuta come «Scrooge e Marley». A volte persone nuove degli affari chiamavano Scrooge Scrooge e a volte lo chiamavano Marley, ma egli rispondeva ad ambedue i nomi. Per lui era perfettamente lo stesso.
Oh! ma Scrooge era un uomo che aveva la mano pesante; duro e aspro, come la cote, dalla quale non c’era acciaio che fosse mai riuscito a far sprizzare una scintilla di fuoco generoso; segreto, chiuso in se stesso e solitario come un’ostrica. Il freddo che aveva dentro congelava i suoi vecchi lineamenti, gli pungeva il naso aguzzo, gli corrugava le guance, irrigidiva la sua andatura; gli faceva diventar rossi gli occhi e violacee le labbra sottili e si esprimeva tagliente nella sua voce gutturale. Sulla testa, sulle ciglia e sul mento peloso c’era uno strato di ghiaccio. Si portava sempre dietro la sua bassa temperatura; gelava l’ufficio nei giorni della canicola e non lo sgelava neppure di un grado a Natale.
Il caldo e il freddo esterni avevano scarsa influenza su Scrooge; nessun calore poteva riscaldarlo e nessuna brezza invernale raffreddarlo. Non poteva soffiare un vento che fosse più aspro di lui, non poteva cadere neve che fosse più determinata, non c’era pioggia scrosciante che fosse meno disponibile. Il cattivo tempo non aveva presa su lui. La pioggia più fitta, la neve, la grandine e il nevischio potevano vantare una sola superiorità nei suoi confronti, e cioè che spesso venivano giù non senza bellezza. Scrooge mai.
1 commento
Un racconto pieno di significati.
Saluti a presto.