La chimica segreta degli incontri è un romanzo scritto da Marc Levy, pubblicato nella primavera 2012, traduzione di Valeria Pazzi.
“Per un uomo amare significa cogliere la bellezza di una donna, metterla in una serra affinché si senta protetta e circondarla di attenzioni… anche quando il tempo l’avrà fatta appassire e gli altri uomini non la noteranno più.”
Londra, 1950: Alice ha trent’anni, amici e sogni in abbondanza e un angolo di cielo tutto per sé: quello che la sveglia ogni mattina inondando di luce il lucernario del suo appartamento londinese. Il suo lavoro è creare profumi, audaci miscele di essenze, ricordi, suggestioni in grado di evocare sensazioni uniche in chi le indossa. È un gelido pomeriggio d’inverno quando, al luna park di Brighton, resta turbata dalle parole di una vecchia zingara. L’uomo della sua vita, le rivela la donna, ha appena sfiorato il suo cammino. Per ritrovarlo, Alice dovrà intraprendere un lungo viaggio, incontrare sei persone ancora sconosciute, e apprendere chi è davvero. Solo così potrà conoscere l’amore, quello che dura per sempre, e scoprire il senso di un passato che non aveva mai immaginato di avere.
Alice non è tipo da credere alle favole, tantomeno alle chiacchiere di una finta veggente. Eppure si sorprende pronta a partire, insieme al burbero vicino di casa signor Daldry, un pittore, eccentrico e solitario, alla volta di Istanbul, la città dove Oriente e Occidente si confondono e dove le due vite di Alice forse potranno finalmente incontrarsi.
Il libro inizialmente può sembrare noioso, ma pagina dopo pagina riesce a sorprendermi e diventa intrigante e molto romantico.
«Non credevo nel destino, nei piccoli segni che dovrebbero guidarci lungo i sentieri della vita.
Non credevo alle favole delle indovine, alle carte che conoscono il futuro. Credevo alla semplicità delle coincidenze, alla verità del caso.»
«Allora perché intraprendere un viaggio così lungo, perché venire fin qui se non credevi a nulla di tutto ciò?»
«A causa di un pianoforte.»
«Un pianoforte?»
«Era scordato, come quei vecchi pianoforte da balera finiti chissà come nella mensa ufficiali.
Ma aveva qualcosa di particolare, o forse si trattava della persona che lo suonava.»
«Chi era questa persona?»
«Il mio vicino di pianerottolo, anche se, per essere sincera, non ne sono del tutto sicura.»
«Stasera sei qui perché il tuo vicino suonava il pianoforte?»
«In un certo senso. Quando le sue note echeggiavano fino a me, avvertivo di colpo il peso della mia solitudine. È stato per sfuggirle che ho accettato di andare a Brighton, quel fine settimana.»
«Devi raccontarmi tutto dall’inizio. Le cose mi risulteranno senz’altro più chiare se procederai con ordine.»
«È una lunga storia.»
«Non abbiamo fretta. Il vento soffia dal largo, c’è aria di pioggia» disse Rafael avvicinandosi alla finestra. «Nel migliore dei casi, riprenderò il mare solo fra due o tre giorni. Adesso io preparerò il tè e tu mi racconterai tutta la storia, e devi promettermi di non tralasciare alcun dettaglio. Se il segreto che mi hai confidato è vero, se ormai siamo legati per sempre, ho bisogno di sapere tutto.»Rafael s’inginocchiò di fronte alla stufa in ghisa, aprì lo sportello e soffiò sulla brace.
La casa di Rafael era modesta come la sua vita. Quattro pareti, un’unica stanza, un tetto malconcio, un pavimento consumato, un letto, una vasca dal cui vecchio rubinetto l’acqua sgocciolava gelida in inverno e tiepida in estate. Una sola finestra, che però si apriva sulla baia del Bosforo. Dal tavolo dove era seduta Alice si vedevano le grandi navi che si immettevano nello stretto e, dietro di loro, le sponde dell’Europa.
Alice bevve un sorso del tè appena versato e cominciò il suo racconto.