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Avventura e Fantascienza

Wilbur Smith – Eredità di guerra

KettyDa Ketty6 Aprile 2022Aggiornato:6 Maggio 2022Nessun commentoTempo di lettura: 9 min.
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Wilbur Smith – Eredità di guerra
Wilbur Smith – Eredità di guerra

Eredità di guerra è un romanzo d’avventura e storico, scritto da Wilbur Smith e David Churchill, pubblicato, in Italia, il 3 marzo 2022, da HarperCollins, tradotto da Sara Caraffini. Il sesto volume della serie “I Courtney incontrano i Ballantyne“, ambientata in Africa, inclusa nel ciclo dei Courtney.  Una famiglia nel caos. Una terra in rovina. Un nemico pericoloso. Un esercito di ribelli. E una guerra che potrebbe distruggere un intero paese.

“Forse l’umanità è condannata a non imparare mai dalle esperienze del passato. Forse continueremo in eterno a ripetere gli stessi errori, a commettere le stesse nefandezze.”

 

Trama di “Eredità di guerra”

La storia è ambientata tra la fine degli anni ’40 e l’inizio degli anni ’50, da Londra a Cape Town e poi a Mombasa, in Kenya. La guerra è finita, Hitler è morto, eppure la sua eredità malvagia continua a prosperare. Saffron Courtney e suo marito sono sopravvissuti per miracolo al sanguinoso conflitto, ma Konrad, il fratello nazista di Gerhard, è ancora vivo. Ed è più che mai determinato a prendersi la rivincita e a tornare potente come prima. Così, mentre inizia un pericoloso gioco del gatto e del topo, prende forma un oscuro complotto contro la coppia, un complotto le cui ripercussioni attraverseranno tutta l’Europa. È anche il momento in cui l’India ha appena conquistato la libertà dagli inglesi e anche i nativi del Kenya vogliono la loro libertà e serpeggiano le prime avvisaglie di ribellione contro l’Impero coloniale inglese. La situazione è esplosiva, e quando gli insorti minacciano la dimora della sua famiglia, Leon Courtney, il padre di Saffron, si ritrova stretto tra due fuochi ugualmente letali: una potenza che rifiuta di arrendersi all’inevitabile, e un popolo che lotta per la libertà.

«Parlaci della popolazione nativa» lo sollecitò Peter. «Oggigiorno sulla stampa si leggono articoli piuttosto preoccupanti sul Kenya. Sai, quei ribelli…»
«I mau mau» disse Saffron.
«Proprio loro. Vi creano problemi, lì dove abitate?»
«Non ancora, grazie al cielo» rispose lei. «I mau mau fanno parte della tribù dei kikuyu. I kikuyu sono contadini e parecchi di loro vivono nel settore della tenuta occupato da terreni agricoli e piantagioni. Ma la zona selvaggia in cui viviamo Gerhard e io è popolata dai masai, pastori di bestiame che non hanno nulla a che vedere con i mau mau.»
«Il capo dei masai a Lusima è un uomo straordinario di nome Manyoro» spiegò Gerhard. «Molti anni fa, quando Leon era un giovane ufficiale dell’esercito, Manyoro era il suo sergente. Leon gli ha salvato la vita.»

Le recensioni

Nel complesso le recensioni che si trovano sono positive, anche se qualche critica c’è sempre, come la troppa differenza tra le ottime scene di azione e altre pagine molto noiose. Tanti concordano sul fatto che, anche se godibile, non riesce a superare i precedenti della saga e alcuni non riconoscono la scrittura di Smith, che da anni collabora con altri autori per le sue opere, come nel caso di questo libro pubblicato postumo.

Incipit di “Eredità di guerra”

Wilbur Smith – Eredità di guerraKenya, giugno 1951
Nella luce guizzante e fumosa delle fiaccole di ramaglia Kungu Kabaya guardò, dietro la capra macellata stesa al centro della cappella missionaria abbandonata, gli uomini, le donne e i bambini che aspettavano impauriti.
Erano una sessantina, membri della tribù dei kikuyu e squatter, come i proprietari terrieri bianchi chiamavano i propri braccianti neri. Perché a prescindere da quanto lavorava uno squatter, da quanto tempo lui o il padre o persino il nonno avevano trascorso nella tenuta agricola, dalla maestria con cui aveva costruito la capanna in cui viveva con la famiglia, uno squatter rimaneva nella tenuta solo grazie alla benedizione del proprietario e poteva esserne cacciato in qualsiasi momento, senza diritto d’appello.
Kabaya spostò lo sguardo sul capannello formato da una ventina di uomini e donne scelti per prendere parte alla cerimonia di quella sera e rivolse un cenno d’assenso al ragazzo in testa al gruppo. Magro e dinoccolato, non doveva avere più di diciotto anni. Con l’avventata baldanza tipica dei giovani si era offerto volontario per prestare giuramento per primo, ma la gravità della decisione presa cominciava già a opprimerlo e il coraggio stava lasciando il posto ad ansia e trepidazione.
Kabaya lo raggiunse e gli posò un braccio sulla spalla con fare paterno. «Non c’è nulla da temere» affermò a bassa voce, in modo che soltanto il ragazzo potesse sentirlo. «Puoi riuscirci. Dimostra a tutti che sei un uomo.»
I cinque compagni che aveva portato con sé alla cerimonia si scambiarono un cenno d’assenso o un sorriso d’intesa, mentre guardavano il giovane raddrizzare la schiena e tenere la testa ben alta con ritrovata sicurezza. Durante la Seconda guerra mondiale avevano combattuto tutti con Kabaya nei King’s African Rifles, un reggimento coloniale britannico, prendendo parte a campagne in Etiopia contro l’esercito italiano di Mussolini e poi in Birmania contro i giapponesi. Lo avevano visto passare dal grado di soldato semplice a quello di sergente maggiore della compagnia nel giro di cinque anni. E in occasioni diverse lui aveva trovato le parole giuste per sostenerli nei momenti di difficoltà o infondere coraggio in ognuno di loro durante i combattimenti più aspri.
Quando Kabaya e i suoi uomini erano tornati a casa nell’Africa orientale per scoprire che aver prestato servizio in guerra non aveva garantito loro né i diritti umani fondamentali né un lavoro decente, si erano dati al crimine. All’inizio la loro era stata solo una delle tante bande nate tra le brulicanti baraccopoli sorte intorno alla capitale, Nairobi, ma ben presto era diventata la più potente. I suoi membri si erano poi trasformati in ribelli, ma avevano continuato a seguire Kabaya. Che operasse come soldato o criminale o terrorista, il loro capo era comunque un leader nato.
Kabaya indietreggiò per lasciare solo il ragazzo al centro del pavimento. Nel frattempo Wilson Gitiri, il suo braccio destro, si era seduto di fianco alla capra, posando a terra accanto a sé il panga, il machete dalla lunga lama terribilmente affilata che tutti gli uomini di Kabaya avevano in dotazione.
Alto, bello e carismatico, Kabaya era molto intelligente e sicuro della propria capacità di conquistare le persone attraverso il buon senso e il fascino, oltre che con la paura. Gitiri invece era la malvagità fatta persona. Più basso del suo comandante, aveva l’ampio torace di un toro, il viso solcato da un reticolo di cicatrici in rilievo e gli occhi perennemente socchiusi, sempre in cerca di una possibile minaccia. Le sue sottili treccine erano raccolte a formare una cresta che andava dalla nuca alla sommità della fronte, come la bustina di un soldato. La sua presenza lì nella cappella rappresentava un atto di intimidazione.
Una brocca di terracotta, una tazza di latta ammaccata e un pezzo di corda erano posati accanto alla testa della capra. Gitiri versò nella tazza un po’ del liquido denso, scuro e viscoso contenuto nella brocca, poi rimise entrambi i contenitori al loro posto.
Pochi minuti prima, con un colpo di panga, aveva tranciato una zampa dell’animale per poi scuoiarla, staccare i muscoli dall’osso e dividere la carne cruda in venti cubetti che infine aveva ammonticchiato su un vassoio di legno, anch’esso posato lì sul pavimento.
Kabaya lo guardò per accertarsi che fosse pronto.
Gitiri annuì.
Kabaya disse al ragazzo: «Ripeti queste parole dopo di me: Dico la verità e giuro davanti a Dio e davanti a questo movimento di unità…».
«Dico la verità e giuro davanti a Dio e davanti a questo movimento di unità…» fu la replica, simile a quella di un parrocchiano che fa eco al suo pastore.
Il giuramento ebbe così inizio e il ragazzo ripeté le frasi seguenti di Kabaya.
«… di impegnarmi a combattere per la nostra terra, le terre di Kirinyaga che abbiamo coltivato, le terre che sono state sottratte dagli europei, e se mancherò di farlo possa questo giuramento uccidermi…»
Gitiri si alzò stringendo in una mano la tazza di latta e nell’altra il vassoio di legno che allungò verso Kabaya, il quale prese un pezzo di carne cruda e sanguinolenta e lo offrì al giovane dicendo: «Possa questa carne uccidermi…».
Il ragazzo, i cui occhi continuavano a saettare verso Gitiri come se non osasse perderlo di vista, esitò, ma, quando Kabaya lo incalzò con sguardo torvo, accettò la carne e ripeté: «Possa questa carne uccidermi». Se la infilò in bocca, masticò due volte con una smorfia e poi inghiottì.
Gitiri allungò la tazza verso Kabaya, che ricevendola disse: «Possa questo sangue uccidermi…».
Il ragazzo ripeté ancora le parole e bevve un sorso di sangue di capra.
Gli altri kikuyu osservarono la scena affascinati e al tempo stesso atterriti, mentre due diversi fili della loro cultura si intrecciavano a formare un’unica fune che li legava.
I solenni giuramenti di sangue avevano un ruolo centrale nella vita della tribù ormai da lungo tempo, benché in passato fossero stati prerogativa degli anziani che venivano accolti nei consigli di più alto livello. Negli ultimi settant’anni i kikuyu erano stati convertiti al cristianesimo e conoscevano bene il rito della Comunione: il sangue e la carne di Cristo, simboleggiati da vino e ostia. Questa era una comunione più oscura, più profonda, più africana. Si rivolgeva al fulcro stesso della loro essenza e tutti, dal bambino più piccolo all’anziano più canuto, sapevano che un giuramento prestato in simili circostanze era sacro, inviolabile.
Kabaya ne pronunciò le ultime frasi e il ragazzo le ripeté dopo di lui.
«Giuro di non permettere mai che i bianchi dominino la nostra terra… Giuro di combattere fino alla morte per liberare le nostre terre… Giuro che morirò piuttosto di tradire questo movimento con gli europei… Che Dio mi aiuti.»
Una volta congedato da Kabaya tornò verso il più nutrito gruppo di kikuyu e fu accolto con sorrisi e applausi da un capannello di coetanei, ma non ne condivise la gioia. Aveva guardato l’uomo negli occhi e capito che il giuramento appena pronunciato era mortalmente serio: lui sarebbe sopravvissuto solo finché vi avesse tenuto fede.

Ciclo dei Courtney
Serie I Courtney incontrano i Ballantyne

Il trionfo del sole
Re dei re
Il destino del cacciatore
Grido di guerra
La guerra dei Courtney
Eredità di guerra

Avventura Segnalazione Wilbur Smith
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