
Il gioco del mai è un romanzo thriller scritto da Jeffery Deaver, pubblicato il 3 settembre 2019 da Rizzoli, primo di una nuova serie che ha come protagonista Colter Shaw, un cercatore di persone scomparse.
Colter Shaw non è un poliziotto né un militare. È un tracker, un localizzatore, uno che per vivere cerca persone scomparse, a bordo di un furgone, da una parte all’altra degli States. Allenato dal padre fin da bambino a contare solo su se stesso quando lì fuori si mette male, Shaw è un vero talento nel seguire gli indizi, anche i più indecifrabili. Sa come sopravvivere in ogni situazione, anche la più estrema, perché sa quali regole rispettare e quali comportamenti non assumere. Mai. Oggi il nuovo ingaggio lo porta in California: è sparita una studentessa universitaria. Colter si mette sulle tracce del rapitore e dei suoi inquietanti messaggi che si rifanno a quelli di un popolare videogioco. Fuggi, se puoi è il primo. Ma sul sentiero di caccia cade più di una vittima e Colter viene risucchiato nel cuore nero della Silicon Valley, che non è solo ricchezza, potere, modernità scintillante. È anche un tritacarne, un ingranaggio programmato per sbriciolare chi non sa tenere il passo. È solo qui che qualcuno potrebbe concepire il gioco sadico e mortale in cui le vittime vengono lasciate in un luogo isolato, con cinque oggetti per salvarsi. Un rebus che, se non viene risolto, porta con sé l’ultimo messaggio dell’Uomo che Sussurra: Muori con dignità.
DOMENICA 9 GIUGNO
LIVELLO 3: LA BARCA CHE AFFONDACorse verso l’acqua, squadrando la barca da pesca. Studiandola attentamente.
Dodici metri, un mezzo rottame. Chissà quanti decenni aveva sulle spalle. La poppa era già sommersa per tre quarti.
Colter Shaw non vedeva nessuna porta; di sicuro l’unica che permetteva di entrare nella cabina era ormai stata inghiottita dall’oceano. Nella parte anteriore della struttura una finestrella si affacciava sulla prua, ancora sopra il livello dell’acqua. Abbastanza larga per passarci in mezzo, forse. Ma sembrava ben chiusa. No, meglio tuffarsi e provare a raggiungere la porta.
Si fermò, riflettendo: che fare? Era proprio necessario? C’erano alternative?
Cercò la cima che legava la barca al molo. Forse poteva tirarla, impedire alla barca di colare a picco.
Ma di cime non ce n’erano. La barca era ancorata, il che significava che nulla le impediva di affondare per tutti i dieci metri che la separavano dal fondale dell’oceano Pacifico.
E di tramutarsi in una fredda bara fangosa, se la donna era a bordo.
Corse sul pontile scivoloso facendo attenzione a evitare le assi più marce, si tolse la maglietta sporca di sangue, poi si liberò di scarpe e calzini.
Un’onda più violenta si abbatté contro lo scafo, la barca tremò e scivolò ancora più giù nelle acque grigie e indifferenti.
«Elizabeth?» urlò.
Nessuna risposta.
Shaw fece i calcoli: sessanta possibilità su cento che fosse a bordo. Cinquanta che fosse ancora viva, dopo ore e ore imprigionata nella cabina inondata.
Ma non aveva bisogno di percentuali per decidere cosa fare adesso. Infilò un braccio in acqua, valutò la temperatura. Intorno ai quattro gradi. Più o meno mezz’ora a mollo prima di svenire per l’ipotermia.
Via con il conto alla rovescia, pensò.
E si tuffò.