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SEI QUI: Home » Libro Caffè » Autori Libri » Deaver Jeffery » Jeffery Deaver – La mano dell’orologiaio
Deaver Jeffery

Jeffery Deaver – La mano dell’orologiaio

22 Ottobre 2024Updated:25 Novembre 2024Nessun commento8 Mins Read
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Jeffery Deaver - La mano dell'orologiaio
Jeffery Deaver - La mano dell'orologiaio
Jeffery Deaver – La mano dell’orologiaio

La mano dell’orologiaio è un romanzo thriller scritto da Jeffery Deaver, pubblicato il 22 ottobre 2024, da Rizzoli, tradotto da Rosa Prencipe. La diciassettesima nuova indagine di Lincoln Rhyme insieme ad Amelia Sachs, moglie e inseparabile collega, che devono fermare il loro nemico storico, l’Orologiaio, prima che la città cada nel caos.

“Per Rhyme, un caso irrisolto non era che un caso irrisolto, che fosse vecchio di ventiquattro ore o cento anni, e necessitava assolutamente di essere chiuso, furti compresi. Cosa che, al momento, stava impegnando parecchio del suo tempo.”

Trama del libro La mano dell’orologiaio

Una gru si staglia contro lo skyline di Manhattan, una delle tante che popolano i cantieri della città. Ma quella gru, quel giorno, diventa l’epicentro di una tragedia. Con uno schianto che fa tremare la terra, si abbatte su un cantiere, lasciando una scia di morte e distruzione. Morti, feriti, caos. Le autorità brancolano nel buio, la dinamica del crollo non è chiara. Un incidente? No, non questa volta. Qualcosa di più sinistro è in gioco.

Pochi minuti dopo, un messaggio arriva a scuotere la città: il Kommunalka Project, un gruppo terroristico con una visione pericolosa e radicale, rivendica l’attacco. Loro non si accontentano di dichiarazioni d’intenti: promettono di buttare giù una gru ogni ventiquattr’ore se l’amministrazione non cede, convertendo le proprietà di lusso in alloggi sociali. Il ricatto è chiaro. Il sindaco, però, non intende cedere. “Con i terroristi non si tratta”, è il suo messaggio secco. Ma mentre l’orologio ticchetta verso la prossima distruzione, il panico si diffonde come un virus tra i grattacieli di vetro e acciaio.

A chi affidarsi in una situazione così disperata? Chi può fermare una minaccia così imprevedibile? Solo due persone possono fronteggiare il caos imminente: Lincoln Rhyme e Amelia Sachs, la coppia più affilata della criminologia moderna. Chiamati d’urgenza per collaborare con le forze dell’ordine, Rhyme e Sachs iniziano una corsa contro il tempo per svelare l’identità degli attentatori. Ma ben presto, un nome emerge dalle ombre del passato: Charles Vespasian Hale, alias l’Orologiaio, il nemico che li ha tormentati per anni. Astuto, implacabile, e soprattutto libero, Hale è tornato con un piano che va ben oltre il terrorismo. Non è solo denaro che cerca. È vendetta. E il suo obiettivo finale è Rhyme stesso.

Quando una seconda gru crolla, il tempo si fa tiranno. New York è nel panico, le autorità sono impotenti. Rhyme e Sachs devono agire in fretta, ogni minuto perso significa più vittime, più caos. Ma questa volta l’Orologiaio è più furbo, più letale. Riusciranno a fermarlo prima che l’intera città sprofondi nel caos?

“Prese il telecomando e sintonizzò il televisore su uno dei canali nazionali. Sullo schermo scorrevano le notizie dell’ultima ora, con un sottopancia troppo lontano perché Rhyme riuscisse a leggere, e il video di un incidente in un cantiere. Apparve un’altra scritta: E. 89th Street, New York. Poi: Un morto e sei feriti nel crollo di una gru.

Sellitto guardò prima Sachs, dopo Rhyme. «Non è stato un incidente. Qualcuno l’ha fatto di proposito. Hanno mandato una lista di richieste. E se non ottengono ciò che vogliono, lo rifaranno tra ventiquattr’ore.”

Incipit del libro La mano dell’orologiaio

I

PERSONA INFORMATA DEI FATTI

1
L’osservazione del magnifico panorama di Manhattan, sessantasei metri più in basso, fu interrotta dall’allarme.
Non aveva mai sentito quell’urgente pulsazione elettronica mentre era di turno.
Ne conosceva il suono per via del corso sulla sicurezza che aveva frequentato, ma niente di più. Il suo livello di competenze e la complessità dell’affare da un milione di dollari che aveva sotto di sé garantivano che quel suonaccio non invadesse mai l’abitacolo in cui si trovava.
Scrutò i monitor venticinque per venti che aveva davanti… sì, adesso lampeggiava una luce rossa.
Ma, nonostante l’insistenza del dispositivo elettronico, Garry Helprin sapeva che si trattava di un errore. Un problema di sensori.
E infatti, qualche istante dopo, la luce si spense. Il suono cessò.
Diede un colpetto ai comandi per sollevare il carico di diciassette tonnellate e i suoi pensieri tornarono a dov’erano un attimo prima.
Il nome del bambino. Suo padre sperava in William e la madre di sua moglie in Natalia. Nessuno dei due sarebbe stato accontentato. Bei nomi, per carità. Ma non per lui o Peggy, non per il loro figlio o la loro figlia. Lui aveva proposto di prendere un po’ in giro i loro genitori, facendogli credere che la scelta definitiva fosse Kierkegaard, se maschio, e Bashilda, se femmina.
Quando Peggy aveva fatto questi nomi, Garry aveva replicato: «Bathsheba, vorrai dire. Dalla Bibbia».
«No. Bashilda. Il mio pony immaginario di quando avevo dieci anni.»
Kierkegaard e Bashilda, avrebbero detto ai genitori, per poi passare in fretta a un altro argomento. Che reazione avrebbero…
L’allarme riprese a suonare, la luce a lampeggiare. E stavolta sul monitor comparve un nuovo riquadro esagitato: l’indicatore del momento di carico. L’ago si stava muovendo a sinistra, sopra le parole Sbilanciamento del momento.
Impossibile.
Il computer aveva calcolato il peso del braccio mobile anteriore, lungo quanto un Boeing 777, e quello del braccio posteriore. Aveva poi aggiunto al calcolo il peso del carico anteriore e quello dei contrappesi di cemento posteriori. Infine, aveva misurato la distanza dal centro, dove lui sedeva nell’abitacolo della gru.
«Coraggio, Big Blue. Non scherziamo.»
Garry tendeva a parlare con le macchine che manovrava. Alcune sembravano rispondergli. La Baylor HT-4200 in questione era la più loquace di tutte.
Oggi, però, taceva, fatta eccezione per il segnale acustico.
Se l’allarme suonava lì in cabina, allora suonava anche nel rimorchio del supervisore.
«Garry, che succede?» crepitò la radio in cuffia.
Garry disse nel microfono: «Dev’essere un problema al sensore LMI. Se c’era momento cinque minuti fa, c’è momento anche adesso. Non è cambiato niente».
«Vento?»
«Macché. Sensore, sono…» Tacque.
Avvertì l’inclinazione.
«Cavolo» disse in fretta. «È un’anomalia del momento. Il braccio anteriore è punto tre e nove gradi più in basso. Aspetta, adesso punto quattro gradi.»
Il carico stava forse slittando da solo verso l’estremità del braccio reticolare blu? Il carrello si era staccato dai cavi di azionamento?
Garry non aveva mai sentito di un’eventualità del genere.
Guardò davanti a sé. Non vide niente di anomalo.
Adesso: –.5 gradi.
In un cantiere edile, niente è più soggetto a regolamenti e ispezioni della stabilità di una gru a torre, in special modo una gru che raggiunge un’altezza simile e ha all’interno del proprio perimetro una mezza dozzina di strutture e centinaia, forse migliaia, di anime. Il carico – in questo caso diciassette tonnellate di travi a flangia quindici per dieci e relativi contrappesi, vale a dire rettangolari blocchi di cemento – è sottoposto a calcoli minuziosi per garantire che una particolare gru sia in grado di sollevare e spostare il carico utile. Una volta convalidate, le informazioni sono immesse nel computer e il magico equilibrio si mantiene muovendo i contrappesi posteriori avanti e indietro in maniera chirurgica, così da lasciare l’ago sullo zero.
Momento…
–.51
Si voltò a guardare i contrappesi. Fu un gesto istintivo: non sapeva cosa avrebbe potuto vedere.
Non si vedeva niente.
–.52
L’allarme continuava a suonare.
–.54
Toccò l’interruttore, spense l’allarme. La spia Allarme lampeggiò; lampeggiava anche Sbilanciamento del momento.
–.55
Il supervisore disse: «Dalla diagnostica non risultano problemi ai sensori».
«Lascia perdere i sensori» replicò Garry. «Ci stiamo inclinando.»
–.58
«Passo ai comandi manuali.» Spense il controller. Aveva manovrato gru a torre negli ultimi quindici anni, da quando aveva firmato per la Moynahan Construction, dopo la parentesi come ingegnere nell’esercito. I comandi digitali rendevano il lavoro più facile e sicuro, ma lui si era fatto le ossa manovrando gru manualmente, usando diagrammi e grafici e un blocco per fare i calcoli fissato alla coscia e, naturalmente, un indicatore di equilibrio per determinare alla perfezione il momento di carico. Adesso strattonò il joystick per spostare il carrello del carico più vicino al centro.
Poi, passando ai comandi dei contrappesi, allontanò le zavorre dalla torre.
Teneva gli occhi fissi sull’LMI, che continuava a segnalare uno sbilanciamento in avanti.
Spostò ancora più indietro i contrappesi, che ammontavano a cento tonnellate.
Questa manovra doveva ristabilire l’equilibrio.
Per forza.
Ma non ristabilì un bel niente.
Garry tornò al braccio anteriore.
Azionò il carrello per avvicinarlo di più alla cabina di comando. Le travi a flangia oscillarono. La manovra era stata più brusca del previsto.
Guardò la tazza di caffè.
La poltroncina – imbottita, comoda – non era dotata di portatazze. Però Garry, patito di infusi e simili, ne aveva montato uno, a parete. Ben lontano da tutti i dispositivi elettronici, che sia chiaro.
La superficie della bevanda marroncina era orizzontale; il fondo della tazza no.
Un’altra occhiata all’indicatore LMI.
Un buon 2 per cento in meno nella parte anteriore.
Manovrò il comando del carrello e avvicinò ancora di più il carico di travi.
Ah, sì, adesso si ragionava.
La spia dell’allarme si spense e l’indicatore di equilibrio prese a scendere adagio a –.5, poi a 0, poi 1 e continuò a salire.

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Faccio i conti con la mia insaziabile voglia di conoscenza, mi piace condividere con gli altri le cose che imparo e confrontarmi, questo blog tenta di raccogliere i pezzi confusi di me.

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