Lena e la tempesta è un romanzo scritto da Alessia Gazzola, pubblicato il 6 maggio 2019, un romanzo sulla magia dei nuovi inizi e la voglia di vivere andando oltre le proprie barriere. Con una protagonista che deve fare i conti con sé stessa, il proprio passato e un pesante segreto. Un romanzo che ha il profumo del mare, la delicatezza della sabbia tra le dita, la forza delle onde in tempesta.
“La memoria è come una grande soffitta ricolma dove si ripongono oggetti di cui si finisce con il dimenticare l’esistenza. Nella mia c’è una scatola bianca, con il pennarello rosso ho scritto NON APRIRE, ma piano piano, lentamente, l’ho fatto. Ho rovistato nel contenuto, ma non sono ancora arrivata a ciò che è conservato sul fondo.”
Si dice che ciascuno di noi, nel corso della propria vita, accumuli in media tredici segreti. Di questi, cinque sono davvero inconfessabili.
Lena ne ha soltanto uno, ma si fa sentire dentro come se ne valesse mille. Per quanto si sforzi di dimenticarlo, è inevitabile per lei ripensarci mentre dal traghetto scorge l’isola di Levura, meta del suo viaggio. Levura, dove ha passato le estati indimenticabili della sua giovinezza. Dove non rimette piede da quando aveva quindici anni. Ora suo padre le ha regalato la casa di famiglia e lei ha deciso di affittarla per dare una svolta alla sua esistenza. Perché si sente alla deriva, come una barca persa tra le onde. Perché il lavoro di illustratrice, che ama, è in un vicolo cieco.
“Le isole, tutte le isole, hanno qualcosa di presuntuoso. Loro esistono immutabilmente dalla notte dei tempi e non hanno bisogno di niente. Sei tu ad aver bisogno di loro per far vacanza, per cercare te stesso, per sentirti meglio.”
Lena non sarebbe mai voluta tornare tra quelle mura. Ma è l’unica possibilità che ha. Mentre apre le finestre e il vento che sa di mare muove le tende, i momenti dell’ultima vacanza trascorsa lì riaffiorano: le chiacchierate, gli schizzi d’acqua sul viso, le passeggiate sulla spiaggia. E insieme il ricordo di quel giorno, impresso a fuoco nella sua mente. Il suo progetto è quello di stare a Levura il minor tempo possibile per poi ricominciare altrove. Eppure nulla va come aveva immaginato. Lena non sa che la stagione che abbronza il suo viso chiaro e delicato sarà per lei molto di più. Non sa che l’isola sarà luogo di incontri inaspettati, come quello con Tommaso, giovane medico che dietro un’apparente sicurezza nasconde delle ombre. Giorno dopo giorno, Lena scopre che la verità ha mille sfumature. Che niente è davvero inconfessabile. Perché spesso la colpa cela solo una profonda fragilità.
“È sempre stato questo il problema di mia madre. Che non si chiede mai in profondità il perché delle cose.
Non le ho mai raccontato cosa è successo. Mai segreto è stato custodito meglio del mio. Con lei tuttavia non è stato difficile, perché si è sempre accontentata della risposta più semplice.”
1.
Sono su un taxi incolonnato nel traffico quando sento alla radio che, stando a un recente studio americano di psicologia, ciascun individuo, nella propria vita, accumula in media tredici segreti.
Di questi, solo cinque sono inconfessabili.
Mi sembra un numero enorme, se penso che io ne ho soltanto uno.
Ma se poi da quell’unico segreto tenuto sotto chiave ne scaturiscono altri, in maniera diretta o indiretta, e quell’eco lontana agisce come un moltiplicatore… il segreto resta sempre uno?
Il cuore inizia a pulsarmi più forte come tutte le volte in cui quel ricordo si affaccia alla memoria. È come un fetido bollore sotterraneo ben nascosto da un lastricato tirato a lucido o come il ronzio di un coleottero imprigionato al centro del torace: le mie metafore sull’argomento sono pressoché infinite. La mia analista junghiana sosteneva che l’acuto simbolismo del mio linguaggio fosse conseguenza diretta di un magma emotivo. Ma alla fine, un paio di mesi fa, ho piantato in asso anche l’analisi, come del resto pianto in asso un po’ tutto. Sempre secondo quella psicologa, nessun pensiero che attraversa la mente lo fa per caso. Non è che una riflessione, o un ricordo, sbagliano strada. Se imboccano un sentiero c’è sempre una ragione ben precisa.
Poi l’ingorgo si libera, il taxi prosegue la sua corsa verso l’aeroporto di Fiumicino, alla radio cambiano argomento e io smetto di pensarci.
Quando entro la mia destinazione è già sul tabellone delle partenze. Raggiungo il gate, esibisco il documento e prendo posto sul sedile lato corridoio accanto a una giovane coppia con un bambino sotto i due anni posseduto dal demonio.
Arrivata a Palermo mi sento già sfinita. Carico le valigie su una navetta diretta al porto e lì prendo l’aliscafo mezzo vuoto. Nel bagnetto lurido dell’imbarcazione, devastata dal mal di mare, non lesino in goccine di Rescue Remedy. Ma solo perché sono contraria a qualunque cosa dia dipendenza, e pertanto, anche agli psicofarmaci. Perché se c’è un buon momento per il Lexotan, quant’è vero Dio, è proprio questo.L’aliscafo rallenta mentre si avvicina all’isola di Levura, che sembra galleggiare su una distesa d’acqua senza temere il fuoco del vulcano mezzo addormentato né la potenza del vento che leviga il profilo delle rocce brune.
Qualche tempo fa ho letto che, dopo un’intensa e sorprendente vacanza, un giornalista del «New York Times» l’ha descritta come un piccolo paradiso terrestre, scatenando un passaparola che l’ha consacrata come una delle dieci località top al mondo per il 2010. Oggi il successo dell’isola non accenna a ridursi, anzi, questa briciola di terra avanzata dalla Creazione è sempre più florida. Eppure io non ci torno di proposito da anni, nonostante sia casa mia, tecnicamente l’unica che possiedo.
«Ma quella villa di tuo padre, a Levura?» è da sempre la tipica domanda che mi sento rivolgere da chi ricorda che lui si rifugiava sull’isola per cercare l’ispirazione.
Mio padre, Ennio Santoruvo, è stato uno scrittore molto acclamato, ogni suo libro era un caso editoriale e oggi gli studenti di Lettere scrivono tesi su di lui. Un giorno però ha dichiarato di non avere più storie da raccontare e di volersi dedicare solo all’insegnamento, attività cui aveva già cominciato a interessarsi. È un tipo piuttosto rigido per quel che concerne il merito e il valore e semplicemente sentiva di non essere più all’altezza di sé stesso.