Io uccido è un thriller scritto da Giorgio Faletti, artista poliedrico, fu attore, comico e drammatico, cantautore, e questo romanzo, pubblicato nel 2002, lo consacra anche scrittore. Siamo nel Principato di Monaco, un luogo che conosci per il lusso, i casinò, la mondanità. Non per gli assassini seriali. Perché lì, un serial killer non c’è mai stato. Fino ad ora.
“La musica non tradisce, la musica è la meta del viaggio. La musica è il viaggio stesso.”
Trama del libro Io uccido
Il Principato di Monaco, con le sue luci soffuse e l’aria rarefatta di un luogo dove tutto sembra perfetto, è il teatro di una storia che di perfetto non ha nulla. Qui, dove i problemi sembrano scivolare via come le auto di Formula Uno lungo le curve del circuito, qualcosa di oscuro si muove sotto la superficie. Una sera, durante una delle sue trasmissioni notturne su Radio Monte Carlo, Jean-Loup Verdier, un dee-jay con la voce che sembra fatta apposta per riempire il silenzio della notte, riceve una telefonata. Strana. Inquietante. La voce dall’altro capo, distorta e irriconoscibile, si presenta come “Uno e Nessuno” e lascia un messaggio che fa rabbrividire: “Io ucciderò.”
All’inizio, sembra solo uno scherzo di cattivo gusto, il genere di cosa che chi lavora in radio archivia con un’alzata di spalle. Ma il giorno dopo, la realtà si fa spazio con la violenza di un pugno: su una barca, ormeggiata al porto, vengono trovati i corpi straziati di due persone. Lui è un famoso pilota di Formula Uno; lei una campionessa di scacchi. Sopra un tavolo, una scritta, tracciata con sangue, firma la scena del crimine: “Io uccido.” È l’inizio di un incubo.
Il killer ha un piano. Ogni omicidio sarà annunciato in diretta radio, con un enigma musicale a fare da sinistra anticipazione. Jean-Loup, con le cuffie in testa e il microfono davanti, diventa suo malgrado il confidente di quell’ombra che sembra giocare con la vita delle persone come un musicista con le note di una melodia mortale.
A indagare su quello che si rivela essere un caso senza precedenti arriva Nicolas Hulot, commissario della Sûreté Publique, affiancato da Frank Ottobre, un agente dell’FBI in congedo, un uomo segnato da un dolore recente e devastante: il suicidio della moglie. Due investigatori, due metodi, un unico obiettivo: fermare una mente criminale che sembra sempre un passo avanti.
Nel Principato, il gioco è cominciato, e nessuno è più al sicuro.
«Anche in questo siamo uguali. L’unica cosa che ci fa differenti è che tu, quando hai finito di parlare con loro, hai la possibilità di sentirti stanco. Puoi andare a casa e spegnere la tua mente e ogni sua malattia. Io no. Io di notte non posso dormire, perché il mio male non riposa mai.»
«E allora tu che cosa fai, di notte, per curare il tuo male?»
Jean-Loup incalzò leggermente il suo interlocutore. La risposta si fece attendere e fu come se un oggetto avvolto in diversi strati di carta prendesse lentamente la luce.
«Io uccido…»
Recensione
Ci sono libri che dividono come una lite tra vicini di casa: c’è chi li adora e chi non li sopporta. Questo è uno di quelli. Da un lato è stato osannato come un capolavoro, dall’altro stroncato come una mediocrità. E poi c’è stata l’accusa di aver copiato dai thriller americani, che ha dato il colpo di grazia alle mie speranze di affrontarlo senza pregiudizi. Spoiler: non ce l’ho fatta.
L’ho iniziato qualche mese dopo l’uscita, con una certa curiosità, lo ammetto. Ero arrivata più o meno al primo quarto quando è entrato nella mia vita Mr. William, detto Willy, un beagle di tre mesi con l’anima di un trinciacarte. Ha pensato bene di “divorarlo”, nel senso più letterale possibile. Quando ho finito di raccogliere i pezzi del libro sparsi per casa, mi sono arresa e l’ho buttato.
Sono passati più di dieci anni prima che decidessi di ricomprarlo e dargli una seconda possibilità. Ma a quel punto l’aura di mistero era svanita: avevo letto e sentito di tutto su quest’opera, che ormai resterà per me irrimediabilmente legata al ricordo del mio amore a quattro zampe, pazzo e adorabile.
Leggendolo oggi, devo ammettere che la trama è ben costruita. Mi è piaciuto il fatto che gli eventi vengono esaminati da vari punti di vista, ed anche l’analisi dell’animo umano attraverso i protagonisti: fragili, complessi, mai banali, attraverso la loro storia personale, che hanno dato profondità alla narrazione. Ho trovato alcune ripetizioni che avrei evitato e quelle descrizioni infinite… anche no. Nemmeno io, che adoro perdermi nei dettagli, sono riuscita ad apprezzarle. Non c’era bellezza, non c’era poesia: solo il desiderio che finissero in fretta.
Detto questo, il thriller funziona. Coinvolge, intriga e ha un finale che non delude. Non è perfetto, ma lo consiglio a chi cerca un buon libro da leggere con curiosità e senza troppe aspettative. E magari, fate come me: tenetelo fuori dalla portata di un beagle affamato.
Incipit del libro Io uccido
Primo carnevale
L’uomo è uno e nessuno.
Porta da anni la sua faccia appiccicata alla testa e la sua ombra cucita ai piedi e ancora non è riuscito a capire quale delle due pesa di più. Qualche volta prova l’impulso irrefrenabile di staccarle e appenderle a un chiodo e restare lì, seduto a terra, come un burattino al quale una mano pietosa ha tagliato i fili.
A volte la fatica cancella tutto e non concede la possibilità di capire che l’unico modo valido di seguire la ragione è abbandonarsi a una corsa sfrenata sul cammino della follia. Tutto intorno è un continuo inseguirsi di facce e ombre e voci, persone che non si pongono nemmeno la domanda e accettano passivamente una vita senza risposte per la noia o il dolore del viaggio, accontentandosi di spedire qualche stupida cartolina ogni tanto.
C’è musica dove si trova, ci sono corpi che si muovono, bocche che sorridono, parole che si scambiano e lui sta fra di loro, uno in più per la curiosità di chi vedrà sbiadire giorno per giorno anche questa fotografia.
L’uomo si appoggia a una colonna e pensa che sono tutti inutili.
Di fronte a lui, dall’altra parte della sala, sedute una di fianco all’altra a un tavolo vicino alla grande vetrata che dà sul giardino, ci sono due persone, un uomo e una donna.
Nella luce soffusa, lei è sottile e dolce come la malinconia, ha i capelli neri e gli occhi sono verdi, talmente luminosi e grandi che li vede anche da lì. Lui ha occhi solo per la sua bellezza e le parla all’orecchio, per farsi sentire oltre il frastuono della musica. Si tengono per mano e lei ride alle parole del compagno, rovesciando la testa all’indietro o nascondendo il viso nell’incavo della sua spalla.
Poco fa lei si è voltata, forse punta in qualche modo dalla fissità dello sguardo dell’uomo appoggiato a una colonna, cercando l’origine di un lontano disagio. I loro occhi si sono incrociati ma quelli di lei sono passati indifferenti sulla sua faccia come sul resto del mondo che la circonda. È tornata a regalare il miracolo di quegli occhi all’uomo che è con lei e che la ricambia con lo stesso sguardo, impermeabile a ogni messaggio esterno al di fuori della sua presenza.
Sono giovani, belli, felici.
L’uomo appoggiato a una colonna pensa che presto moriranno.
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