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SEI QUI: Home » In Primo Piano » Lorenzo Marone – La donna degli alberi (Recensione)
In Primo Piano

Lorenzo Marone – La donna degli alberi (Recensione)

17 Maggio 2025Updated:17 Maggio 2025Nessun commento12 Mins Read
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Lorenzo Marone - La donna degli alberi
Lorenzo Marone - La donna degli alberi
Lorenzo Marone – La donna degli alberi

La donna degli alberi è un romanzo di Lorenzo Marone, pubblicato il 5 novembre 2020, da Feltrinelli. Una baita sperduta tra i monti. Una donna, sola. Intorno a lei, la natura si manifesta in tutta la sua potenza: impetuosa, imprevedibile, affascinante. La montagna detta legge. Non fa sconti, non perdona. Ma è proprio lì che può accadere l’impensabile.

“Stolti come falene, attendiamo la notte e teniamo chiuse le ali, perdendoci tutto il cielo che c’è.”

Trama del libro “La donna degli alberi”

La donna è sola. Inquieta. In fuga. Non può più restare dove l’amore è solo un’eco lontano. Ha lasciato la città, quella giostra impazzita dove tutto corre e tutto si compra, per tornare alla vecchia baita dell’infanzia, sul Monte. Là dove il tempo sembra fermarsi e la memoria si addormenta sotto la neve.

Vive senza voltarsi indietro, ascolta il silenzio, segue il respiro del bosco. L’inverno è lungo, il gelo punge, la solitudine si fa compagna. Intorno, i suoni della natura: una volpe attenta, un gufo reale che vigila sotto il tetto. E poi lui. L’uomo dal giaccone rosso. Appare e scompare come il vento. A valle lo chiamano lo Straniero. Vuole riparare il rifugio, piantare nuovi abeti sul versante nord. Dare al Monte una speranza. Forse anche a lei.

Ma una notte porta con sé l’ombra della paura. La donna trema. Eppure non è sola. C’è la Guaritrice, che non parla ma ascolta le piante e fa nascere la vita. C’è la Rossa, con la locanda e i suoi racconti. C’è la Benefattrice, che conosce la cura delle piccole cose. Sono donne come lei, capaci di raccogliere i cocci e farne rifugi.

Il Monte si prepara al disgelo. La neve si scioglie. Qualcosa rinasce. Anche lei riprende il cammino. Un altro inverno verrà, ma ora il richiamo del Monte è chiaro. E lei è pronta.

“Se ognuno di noi avesse il garbo del fiore, che regale sta a lasciarsi fecondare, se ci limitassimo a cospargere di bellezza il nostro pezzetto di mondo, se lasciassimo al vento la decisione delle cose e ci limitassimo a fiorire nella vita.”

Recensione

Immaginate di camminare nel fitto di un bosco, il rumore dei passi affonda nel muschio, il respiro rallenta, e l’unico suono è il battito del vostro cuore che si armonizza con quello della foresta, è questa l’atmosfera che Lorenzo Marone ci regala in questo libro, che è un atto d’amore silenzioso.

Un canto femminile con i toni della fiaba, ma con la forza della cruda verità che solo certe fiabe di un tempo sapevano contenere. A raccontarlo una voce di donna, non conosciamo il suo nome, non ci viene detto, e presto capiamo che non serve, perché i nomi, in questa storia, sono dettagli che sfumano, ciò che conta è la sostanza, il respiro dei personaggi, il loro passo dentro la narrazione, li vediamo, li ascoltiamo, quasi li tocchiamo, ognuno ha una sua impronta, un suo modo di essere nel mondo. Quella voce, senza volto e senza nome, diventa tutte le voci. È la madre, la sorella, l’amante, la donna che ricorda o che sogna, è lei a guidarci dentro un intreccio di emozioni, silenzi e piccole rivelazioni.

Questa donna scava dentro se stessa e noi, lettori assistiamo al dispiegarsi di un mistero esistenziale: chi era, cosa ha perso, e soprattutto… perché è qui? Ogni pagina è un indizio, ogni riflessione una traccia, ogni albero una testimonianza muta del dolore e della rinascita.

La trama è secondaria, non è il cosa accade a contare, ma il come. La montagna non è solo luogo, ma presenza, accoglie senza fare domande, accompagna senza giudicare.
Il ritmo della narrazione segue quello delle stagioni, dei mesi che passano silenziosi, l’atmosfera del bosco, con la sua quiete e i suoi misteri, sfuma i contorni della realtà. Più che una storia da seguire, è un’esperienza da attraversare, con passo lento, come su un sentiero tra gli alberi, dove ogni silenzio dice qualcosa.

Nel libro la natura non è un semplice sfondo, è un personaggio vero e proprio, vivo e partecipe, gli alberi osservano, il vento consola, il gelo costringe. Il contatto con il bosco è quasi terapeutico ed in linea con una certa sensibilità ecologista. Mentre la solitudine non è fuga ma scelta consapevole, necessaria per ascoltarsi davvero.

Questo racconto non si impone, non corre, si lascia ascoltare, si osserva, si respira, è una narrazione che richiede presenza, che ci chiede di rallentare. Non va letto di fretta. Va assaporato. È il tipo di libro che può rivelare verità nascoste, non tanto sulla protagonista, ma su di noi, sulle nostre paure, sul nostro bisogno di silenzio, sulla difficoltà di lasciar andare e accettare.

Se siete alla ricerca di una lettura che non solo racconti, ma che vi accompagni in un cammino emotivo e riflessivo questo libro vi offre molto più di una semplice storia.

Lorenzo Marone - La donna degli alberi

Incipit del libro “La donna degli alberi”

Sono stata donna in fuga.
In me c’era l’inquietudine della partenza, la vulnerabilità del sopravvissuto, camminavo con il passo spezzato. Mi costruivo le ritirate che non ho preso, ho accettato gli allontanamenti che non ho scelto, ho accolto chi è entrato nella mia vita per evadere dalla sua, sono stata fuggiasca e non vincitrice, rincorsa ma perdente. Ora inseguo l’amor proprio, coltivo il piccolo ambizioso progetto di non restare dove non c’è amore. Mi ritaglio lo spazio per ripassare le mie mancanze, e mi affanno a farmi trovare preparata spettatrice del minuscolo che accade. Mi propongo di mantenere inviolata la fame di vivere pienamente. In armonia con quello che c’è, con chi c’è. Cerco la fede senza fede.
Lascio dietro di me le cose che non comprendo, quelle che non posso cambiare, lo sguardo ostile di chi non ti conosce, le bottiglie di plastica, la città piena di assenza, i cellulari che rubano il tempo. Lascio il mondo dei vincenti, di quelli che si sentono tali, il frastuono dei loro bolidi, la televisione dell’apparire, le cartacce per terra, l’auto davanti alla discesa dei disabili, il menefreghismo diffuso. Lascio l’idea che non ci si debba annoiare, e chi non mostra dubbi, chi non ha tempo per salutare, i ripetitori della telefonia mobile sui tetti. Lascio le urla di prevaricazione, e quelle che fanno spettacolo, le ricorrenze che mi rendono più sola, e l’idea di profitto. Lascio il convincimento che la vita sia prendere sempre un pochino di più, l’indifferenza verso il mondo animale, la paura di ciò che non si conosce, lascio i muri che soffocano, chi salta la fila, le cicche per strada, la condivisione di ogni cosa, l’idea di fare prima degli altri, la ricerca dell’affare, che è approfittare, l’afa delle notti estive di cemento, il cielo senza stelle. Lascio i telegiornali, i discorsi frivoli, chi non parla agli sconosciuti, chi vorrebbe portarsi via un pezzo di me, chi ostenta, lascio i cibi confezionati e i supermarket, chi non ha tempo per riparare, le vie d’asfalto, il suono insistente dei telefoni, lascio il senso di colpa per non provare a cambiare le cose, l’idea del controllo, e agli altri il bisogno di avere ragione.
Mi lascio dietro le mie aspettative asfissianti, la troppa informazione che cela la verità e fa schiavi, lascio i tanti oggetti inutili e dannosi, le scuse che non servono e le sentenze gratuite, chi ti ferma per venderti qualcosa, il groviglio dei fili del tram sulla testa, i palazzi che tolgono l’orizzonte, la foga che prende il prossimo.
Lascio le cose non destinate a me, ciò che non può farsi meraviglioso, i pesi alle caviglie, vincere le battaglie a tutti i costi, avere l’ultima parola. Lascio in città le cannucce di plastica e i cotton fioc, chi non sa rallentare, e chi non scorge il bello, lascio chi ha troppo e vuole ancora, chi non guarda negli occhi, lascio la parte di mondo che non ha rispetto, e nemmeno gratitudine.
Lascio lo spreco dell’abbondanza, la terra dei ricchi che non accetta i poveri, dove tutto è in vendita. Lascio il lamento degli oziosi, l’abbuffata degli ingordi, lo sfruttamento dei prevaricatori, le strade tutte uguali, le case piene di luci bianche, il tempo dell’individualismo, gli ascensori, il frigo americano per stipare cibo che non serve, l’arroganza dei potenti. Lascio la voglia di girare il mondo per prendermi cura di me e di chi vorrà, per tendere la mano a chi non osa più chiedere. Lascio la mia vita, per costruire un nuovo pezzetto di terra da abitare, da seminare e far fiorire.
Imparo a stare, senza rimpianti, senza voler essere continuamente altrove.
Questo è il mio onesto patto da onorare.
Il mio piccolo contributo.

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Citazioni dal libro “La donna degli alberi”

“L’attesa costringe all’ascolto, è vuoto non riempito, osservazione e silenzio, preparazione. È fatica.”

pag. 31

“La sua esistenza è stata una collezione di minuscole cose che servivano forse a riempire il vuoto lasciato dalle grandi, quelle tre o quattro che accadono nella vita di ognuno e che non sono poi così ingombranti da prendersi tutto.”

pag. 32

“C’è nei bambini l’impazienza di trovare un posto alle cose cadute, di recuperare alla vita ciò di cui la vita si disfa. ”

pag. 49

“È un dolore strano il ricordo, è abbraccio che toglie l’aria, carezza che graffia, è immaginazione senza via di fuga, c’è anche quando sembra non esserci.”

pag. 59

“Poi arrivava il giorno della macellazione, in pieno inverno, così che le basse temperature aiutassero a mantenere la carne. Iniziava il rito pagano e l’animale si faceva capro espiatorio, questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi, il vento ghiacciato del mattino trasportava la sofferenza della bestia e asciugava le lacrime dei bambini. C’era allora nei genitori la volontà di non difenderli, di proteggerli dal male più grande con il male più piccolo. I contadini erano ai miei occhi soldati che non conoscono il valore, combattenti senza nemici, erano fratelli di sangue, l’unione regalava loro il coraggio, ma non l’onore, compivano gesti senza condanna, uccidevano per abitudine. Gente con poco da offrire alla storia, se non il rispetto dei propri riti, si facevano forza l’uno con l’altro e la violenza sembrava loro un diritto.”

pag. 62

“Ho rimuginato di nuovo su un figlio, essere stata madre avrebbe reso la genitorialità ben più divina ai miei occhi, avrebbe dato significato al tempo oltre me, e quanto mi sarebbe stato d’aiuto riempire i giorni di gioco, insegnare al bambino ciò che mi è stato insegnato.”

pag. 94

“La casa esitava, a un passo dall’arrendersi, io ho deciso invece di non opporre resistenza, in equilibrio precario fra il reagire e il crollare mi sono fatta chioccia per covare il briciolo di incanto che porto dentro e non disperderlo nella bufera, nel grigio che dietro il vetro soffocava la foresta. Per la prima volta ho pensato di ritornare sui miei passi, abbandonare il campo e scendere a valle, incapace di far fronte alla bestialità della montagna. Ma ci sono cose che si imparano nella tempesta, e la disperazione alla fine mi ha permesso di resistere, senza saperlo mi ha reso libera, come chi si disinteressa dell’esistenza, mi ha obbligata al riposo, ha tolto alla silenziosa rabbia che mi muoveva vie di fuga e mi ha spinto al riparo, in un cantuccio a leggere e a prendermi il caldo del fuoco. Mi ha consegnato alla fede più facile, l’accettazione, che non richiede preghiera.”

pag. 95

“A volte parlo con me, mi prendo il calore della mia voce, altre volte mi costringo a non ascoltare, a stare solamente. Coltivo la consuetudine di molti, in fondo, aspetto di vivere, o di tornare a farlo, alleno la pazienza e imparo a divenire.”

pag. 101

” non siamo mai soli al mondo, lo diventiamo se smettiamo di ascoltare e ci asserviamo alla fretta, il vizio capitale del nostro tempo, se ci lasciamo sedurre dalla facile idea che la felicità sia da ricercare, non qualcosa a cui prestare attenzione.”

“Dicono che la notte sia di chi se la sa godere, io credo che invece sia per chi ha da confessarsi, la notte non conosce giudizio e lascia spazio a chi non l’ha mai avuto, agli esclusi, è Dio che perdona i peccati del mondo, accoglie le paure del giorno e ti lascia parlare.”

pag. 121

“La nostra vita è costellata di nascite, eppure dentro ci restano sempre e solo le morti.”

pag. 138

“Vi è qualcosa di sacro nella vita non consapevole, in ogni essere che non sa di esistere, nelle formiche, nell’edera o nelle api, nel lavoro di ogni giorno che non vuole domande e non pretende risposte, cerca solo il pane quotidiano.”

pag. 141

“Stolti come falene, attendiamo la notte e teniamo chiuse le ali, perdendoci tutto il cielo che c’è.”

pag. 153

“Tutti quelli che negli anni mi hanno fatto sentire sbagliata e mi hanno tolto il sorriso hanno fallito, la mia meravigliosa condanna è pensare che il bello debba ancora venire. Qualcuno mi darà della stupida, o dell’ingenua, ma tant’è, esco nei campi la mattina e mi dedico a fiorire, nonostante tutto, studio l’erba, scruto il Monte, chiedo alla lucertola e alla farfalla sulla serenità. E non ho altro per la testa, non mi faccio prendere dal dopo, sto nel presente, finalmente, il balenio che arriva e passa non mi deve trovare impreparata.”

pag. 169

“Le lenzuola erano intrise del mio sudore, ho chiesto al cuore perdono per le troppe guerre, per averlo a volte abbandonato sul campo di battaglia, traditrice di me stessa. ”

pag. 182

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Lorenzo Marone Narrativa Recensione
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Faccio i conti con la mia insaziabile voglia di conoscenza, mi piace condividere con gli altri le cose che imparo e confrontarmi, questo blog tenta di raccogliere i pezzi confusi di me.

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