“Pagliuzze” è un monologo intelligentissimo scritto e diretto da Alessia Cristofanili con una rutilante Giulia De Luca che ha chiuso la rassegna Fuori in Scena, ideata da Stefano Cutrupi e Angelo Di Mattia.
Essenziale sin dal titolo, il lavoro fra poesia, psicologia e stand up comedy è stato offerto in forma di studio e promette molto bene. I temi affrontati sono vari come lo sono vita e relazioni, fra i tanti si potrebbe indicare l’eccesso di comunicazione, che priva di ciò che è fondamentale o lo nasconde; Altera la visione come fastidiose scheggette che ti entrano negli occhi o il gaslightning distorcente di alcuni rapporti manipolatori.
Il mondo d’oggi sconcerta perché quasi tutto è manipolatorio. Con facilità additiamo manipolazioni subite in relazioni tossiche – una volta tornati in noi – ma spesso passano inosservate quelle cui ci sottoponiamo da soli nella ricerca obbligatoria di un senso e di una realizzazione; di un impegno non frutto d’imposizione esterna ma anche dell’incapacità di viversi come viaggio, da spettatori. Di uno show in cui sul cui palco c’è qualcuno che ha le mie fattezze ma non sono io. Responsabilità, controllo, autodeterminazione, eletti a orgogliosi stendardi di un tempo in cui a ognuno preme rivendicare qualcosa, si rivoltano contro di noi e lasciano incapaci di inchinarci al mistero della vita, per riscoprire una bellezza di cui non siamo artefici bensì figli.
Vorrei veramente provare a dormire
La performance si presenta come un fiume di parole nevrotico e cangiante, che per sottrazione orienta verso il poco di cui c’è davvero bisogno: Ascolto, empatia e condivisione, non di opinioni e trip su ogni cosa, ma frutto di mera apertura; Rara da trovare a volte persino verso noi stessi. Potrebbe, ad esempio, accadere ci scappi parte di ciò che volevamo dare al mondo, e notandolo ci si possa irrigidire nell’inadeguatezza, aumentando la pesantezza interna. Perdonarsi per donarsi. Poi c’è l’amore, grande assente del nostro secolo perché fra tutte la parola più abusata. Molto viene detto e fatto in nome dell’amore o dei suoi sinonimi. Ciò potrebbe celare l’incapacità di viverlo pienamente legata all’apparente obbligo di cercarlo.
Il monologo evolve da un pezzo di Stand up comedy proposto ar Pigneto, dal titolo “200.000 km di me stessa”, a indicare il fardello psicoemotivo e biografico che ognuno porta in una relazione come un’automobile carica della strada percorsa. Nel corso di un notturno delirio insonne, la protagonista ci rende note le intercapedini della sua crisi esistenziale, alternando momenti rivolti a noi, suoi amici immaginari o specchi, a quelli rivolti al suo lui, partner, date o “crush” come oggi dicono tanti; siate maledetti. I mille dubbi offerti non mancano di risvolti tragicomici. Lo spettacolo è godibile dal primo istante e anche se l’attrice non raggiunge ancora il suo apice (è il primissimo incontro del lavoro col pubblico) non annoia mai; difficile scollare gli occhi dal palco, fra le sue capacità espressive e la sagacia del testo. La scena, essenziale come lo spettacolo, è fatta solo di una sedia, un grumo di lampadine accese con cui parla a lui, e un letto sfatto su cui rannicchiarsi, perdersi, cercar di dormire o se stessi.
Fatevi un caffè
Giulia, che aveva chiuso anche la stagione invernale dei 3 Mestieri diretta da Roberto Bonaventura, recita davvero coi piedi, nel senso che qui sono nudi, e vediamo persino questi contrarsi per i saliscendi emozionali dell’interpretazione. All’indomani della nottataccia della protagonista, un’amica giunge all’appartamento, e capiamo che le notti di G. non sono tutte così, qualcosa di diverso dal solito l’attende. Altre confidenze palesano la fuga da un’angoscia di fondo, forse del futuro. Una preoccupazione di base cui chi è sensibile non pare potersi sottrarre. “Pagliuzze è il nome che ho dato a quei momenti in cui non ci capiamo.” “Mettere l’etichetta alle cose toglie la nebbiolina dalla mente.” ma siamo ormai alla luce della razionalità che per un po’ distoglie dal caos del nostro lato notturno. Di notte sai che nulla ha realmente un nome, che ogni cosa esiste solo in continuità con tutto il resto. Dalla verità che spaventa scappiamo per evitare il disagio dell’esistenza. Siamo spazio per l’esperienza e le parole non basteranno mai a descrivere un sentire, come quello di un sapore o un profumo. Da soli tutto sembra peggio, e a volte diciamo dei sì solo per spartirci il fardello dei 200.000 chilometri di noi stessi. L’accoglienza del pubblico è entusiastica, ci si è rivisti in tutto ciò che è stato proposto. In continua ricerca, Alessia, dai pressi della cabina di regia, dice “Come faceva Grotowsky, dopo lo spettacolo si ritorna alle prove”.
Fidarsi del niente
Non sarebbe male un’ipotesi di catarsi, anche solo utopica o invocata, che sollevi oltre i pantani di parole cui convergiamo. Siamo diventati parole noi stessi, che siamo incapaci di udire l’opportunità del silenzio? Potrebbe essere quella di osservarsi oltre a raccontarsi definendosi, per vedere i vocaboli rimbalzare fra le pareti della mente sino a incontrare l’ultimo: “io”. Ma si può vivere senza la tentazione di dirigersi costantemente da qualche parte? Di là da controllo e volontà? L’attenzione è il primo oggetto di mercato della società in cui viviamo, se non comprendiamo come si muove è difficile uscire da qualsiasi dilemma. Non è detto il vento che ci spinge debba sempre incontrare l’attrito di un corpo pe(n)sante, ogni tanto potrebbe trovare anche solo trasparenza, e noi farci attraversare dal terrore di sentirci soli e persi, per scoprire cosa c’è dall’altra parte. Forse non è vero che si muore.
Massimo Troisi – lucido indagatore dell’amore, pertanto sempre senza risposte definite – in un film diceva che quando due si sposano è prova che nella coppia qualcosa comincia a non andare, e quando le cose peggiorano si mette al mondo un figlio, poi magari un altro. Come se i figli fossero paletti da piantare per ancorare al suolo la tenda di una vita che svolazza scossa dalla bufera. Raccontò un amore senza tregue, che si rinnova nella sua origine solo quando tutto è perso, e non c’è più né da sperare che da disperare. Due facce di una stessa illusione. Lì, in assenza di risposte ma anche di domande, di senso, riusciamo a sentire di nuovo, senza filtri e proiezioni. La nostra stessa mente – intrisa di sogni ma anche di paure – non potrebbe esistere senza avere sotto un cuore di vita pulsante nella sua inaudita semplicità.
Il vostro rutilante Lelio Naccari
TEATRO DEI 3 MESTIERI
L’associazione Teatro dei 3 Mestieri APS nasce il 4 Marzo 2016 grazie all’impegno di Angelo Di Mattia e Stefano Cutrupi. L’Associazione ha come scopo l’espressione culturale legata al teatro, alla danza e al canto attraverso lo strumento fondamentale dell’arte in tutte le sue forme. La sede operativa nasce a Tremestieri (Me) denominata Teatro dei 3 mestieri con le sue 2 sale e un terrazzo che attraverso un piccolo palchetto ospita nel periodo estivo eventi teatrali e musicali.